L’avventura comincia a Parigi. Camille Desveaux, fin dai suoi 14 anni, ha questo progetto in testa: è un sogno chiuso nel cassetto di cui non ha mai parlato con nessuno. Tre anni fa, si decide ed espone il suo progetto ai genitori. Non ci vuole molto a convincerli, ma manca ancora molto tempo alla partenza. In quello stesso periodo, all’università conosce Guilemette de Nortbecourt. Tra le due ragazze c'è una bella intesa, nasce un’amicizia. Camille non le dice niente del suo progetto, fino a quando, terminati gli studi, decidono di prendere in affitto un appartamento insieme. Quando Camille racconta a Guillemette del suo progetto e che sta per partire, capisce di cercare la stessa cosa: “In quello stesso periodo, anche io ero alla ricerca dell’assoluto: avevo sete di Dio. Camille è stata provvidenziale”. L’idea di questo pellegrinaggio a piedi era tornata a galla grazie a un prete, Don Louis Hervé Guiny: per Camille non è in dubbio la sua ricerca spirituale ma il progetto non era stato pensato per due persone. Si prendono una settimana di tempo per riflettere. La decisione è presa, partono.
Notre Dame de Paris
Lunedì 10 settembre 2018, 8.00 del mattino. Chiedono al loro amico prete, che ha accompagnato spiritualmente l’iniziativa, di celebrare una Messa per la loro partenza. Ci sono le famiglie, le tre sorelle di Camille e quattro dei dieci fratelli di Guillemette. Alla fine della Messa, sotto lo sguardo commosso e un po’ preoccupato dei familiari, si parte.
Passano i primi 4 giorni non lontano da Parigi. Sono tappe programmate, a casa di amici e conoscenti. Non hanno ancora realizzato quello che riserverà loro quest’avventura. La mattina del quinto giorno si tuffano nell’ignoto. Non sanno dove dormiranno la sera e soprattutto non hanno neanche mezzo euro in tasca. “E’ stata una scelta ragionata”, dice Guillemette, “volevamo spogliarci di tutto e rimetterci unicamente alla volontà di Dio, perché è Lui che ha fatto questo cammino”. Arrivate in un piccolo villaggio nella regione del Loiret, vedono un castello: “Dev’essere pieno di stanze libere”, pensano e si presentano all’entrata.
L’umiliazione del mendicare
Sono solo al quinto giorno, è la prima volta che si trovano a chiedere ospitalità a qualcuno che non conoscono. Vengono respinte; educatamente, ma respinte. Si rendono conto quanto può essere umiliante mendicare. Ma sono determinate e non pensano un secondo a rinunciare. Bussano a un'altra porta dove incontrano un cuore aperto: “Abbiamo imparato molto da questi incontri. Siamo rimaste sorprese dalla straordinaria bontà di queste persone. A volte si nasconde in fondo al cuore e deve solo trovare una strada per uscire”, racconta Camille. E’ Veronica che apre loro la sua casa. Anzi, lascia la casa alle due ragazze, visto che aveva già programmato di andare a vedere uno spettacolo. Camille e Guillemette si sistemano per la notte; la mattina dopo, durante la colazione, si prendono un po’ di tempo per conoscere meglio la signora. E’ il primo di una lunga serie di legami… Una sera, dopo aver attraversato la Svizzera, le Alpi italiane, la Slovenia e la Croazia arrivano in Bosnia Erzegovina, dove vengono accolte da Pierre, un serbo di 80 anni e una vita di lavoro alle spalle. Non conosce nessuna lingua straniera. Sua figlia Slavica conosce qualche parola di inglese e basta per capirsi e perché Pierre accetti di ospitare le due ragazze. “Ci ha offerto un letto singolo”, spiega Camille. Poi continua: “L’indomani al risveglio ci siamo accorte che aveva dormito sul divano e ci aveva lasciato il suo letto. Non so se io sarei stata capace di fare la stessa cosa”.
L’inverno balcanico
Il papà di Guillemette, militare, aveva messo in guardia le ragazze dalla rigidità dell’inverno nei Balcani. Eccezionalmente, nel periodo del loro pellegrinaggio tra novembre 2018 e febbraio 2019, le temperature furono piuttosto clementi: mai sotto i -12° e insieme a questo, un susseguirsi di paesaggi straordinari. “In Bulgaria, per esempio, abbiamo passato una giornata con i piedi nella neve e la testa sotto il sole. Il paesaggio davanti a noi non poteva che spingerci alla contemplazione e a rendere grazie a Dio”, dice Guillemette.
La Turchia
Le differenze culturali possono creare qualche problema a due ragazze sole, accompagnate unicamente dal loro zaino di 10 chili e da un buon paio di scarpe. Non subiscono aggressioni, non hanno mai avuto paura per la loro sicurezza ma subiscono lo sguardo degli uomini. Due ragazze sole possono essere fraintese: “Ci hanno preso per prostitute”, racconta Guillemette. “Abbiamo dovuto cambiare il nostro approccio e non sorridere più a tutte le persone che incontravamo”. E’ uno dei momenti più bui della loro epopea, anche se poi in Turchia hanno trovato una straordinaria generosità.
Le chiese, luogo di accoglienza
Ne hanno trovata più di una chiusa. Ma è poca cosa di fronte all’accoglienza che hanno riservato loro le chiese cattoliche in Francia e in Italia, quelle cattoliche e protestanti in Svizzera e quelle ortodosse più avanti nel loro percorso. “Ogni volta, nelle parrocchie, abbiamo veramente vissuto la cultura dell’accoglienza”. Dalla Serbia alla Grecia, poiché la barriera della lingua diventava invalicabile, e non potendole ospitare personalmente, alcuni popi ortodossi scrissero per loro delle lettere di presentazione per spiegare il loro progetto: queste lettere sono state un vero lasciapassare.
Anche nei villaggi musulmani hanno trovato accoglienza. E’ quasi sempre alla porta del capo del villaggio che bussano per prima, che in seguito ospitano le ragazze o che si occupano di trovare vitto e alloggio per loro a casa di qualche altro membro della comunità: nelle loro 248 notti di pellegrinaggio non restano mai senza un tetto.
L’umanità, in tutti i villaggi
E’ il filo rosso della loro avventura. Camille e Guillemette hanno un solo smartphone, giusto per inviare qualche messaggio ai loro genitori, per rassicurarli. Via via che gli incontri proseguono, la lista dei contatti sul loro telefono si allunga e i legami intessuti con le persone incontrate si trasformano in sostegno quotidiano: “Un bombardamento di messaggi”, dice Guillemette. “Queste persone ci avevano accolte e dovevamo rispondere. L’abbiamo fatto anche se a volte questo ci richiedeva un po’ di tempo. E quando eravamo giù di morale sentivamo che i messaggi di queste persone ci davano coraggio”. Ogni sera raccontano il loro progetto a chi le accoglie. “Tutte le mattine partivamo con un’ora di ritardo rispetto al programma: una nuova amicizia ci tratteneva e continuavamo a parlare. Abbiamo incontrato persone straordinarie”, dice Camille, con gli occhi ancora pieni di ricordi indimenticabili. Hanno centinaia di foto di questi incontri e sarebbero capaci di raccontarveli tutti, non ne hanno dimenticato nessuno.
La scoperta di sé
Partire con un’amica e passare insieme 24 ore su 24 per 7 mesi significa correre il rischio di arrivare a un punto di rottura. Da quando sono partite, il 10 settembre, hanno avuto l’occasione di conoscersi meglio: scoprire se stesse e l’altra. “Mi sono resa conto che ero orgogliosa”, ammette Guillemette. Questo ha provocato tensioni a volte tra loro: “Abbiamo litigato, ma ogni volta per cose futili”. Camille ricorda una tra le discussioni più grandi e allo stesso tempo ridicole – erano in Italia: “Dovevamo decidere se guadare un fiume o attraversarlo passando per un ponte. Il fiume non era profondo ma è vero che non si vedeva il fondo. E c’era un italiano che ci consigliava di passare sul ponte”. Solo che il ponte si trovava due km più in là e Camille non voleva fare deviazioni; mentre Guillemette insisteva per attraversarlo, perché le sembrava molto più saggio e prudente. Raccontando questo aneddoto ridono ancora, si rendono conto col senno di poi che la loro discussione era del tutto priva di significato. Si sono trovate a discutere parecchie volte, quasi sempre per la fatica e il morale basso… Hanno superato queste prove e oggi sono inseparabili.