“L’Italia è un grande Paese e gli italiani sono un grande popolo. Dobbiamo avere fiducia nelle nostre possibilità”. Nel discorso alle alte cariche dello Stato, in un momento delicatissimo della vita nazionale e in un contesto reso ancora più carico di significati dalla fine ormai prossima del settennato, Sergio Mattarella sceglie di mettere in evidenza quel “filo di speranza” che “nella matassa intricata di questa stagione” tiene insieme “comportamenti virtuosi, gesti responsabili, disponibilità, generosità”. Alle “poche eccezioni, alle quali forse è stato dato uno sproporzionato risalto mediatico” (il riferimento è chiaramente ai no-vax), il Capo dello Stato dedica solo un veloce inciso. Perché questo è “il tempo dei costruttori” e “la stagione della ricostruzione si presenta anche come stagione di doveri”. “La Repubblica – sottolinea Mattarella – è l’insieme delle sue istituzioni, dei cittadini, delle forze sociali, dei corpi intermedi, del mondo del lavoro e delle imprese” e “l’opera ricostruttiva sarà il frutto dell’impegno di tutti”.
“Credo che si possa riconoscere – insiste il Presidente – come in Italia si sia affermata una sostanziale unità. Unità di intenti di fronte alla pandemia. E unità di intenti per gettare le basi di un nuovo inizio”, poiché “la normalità che perseguiamo non sarà comunque il ritorno al mondo di prima”.
Il Presidente mette in luce il ruolo dei sindaci e delle regioni, delle forze armate e delle forze di polizia, della Protezione civile e del volontariato, e tributa un esplicito riconoscimento “all’impegno delle forze politiche” che hanno saputo cogliere il senso del suo drammatico appello di inizio anno, quello da cui è nato il governo Draghi. Un passaggio che “non era scontato”. Ai partiti va dato atto di “aver saputo porre in secondo piano divisioni e distinzioni legittime, diversità programmatiche e sensibilità politiche e culturali per privilegiare un lavoro comune nell’interesse nazionale”, con un atteggiamento costruttivo che ha “accomunato sovente maggioranza e opposizione”. Non vuole trascurare nessuno, il Capo dello Stato, e in un paio di occasioni parla dei “governi” – al plurale – che si sono succeduti nella lotta alla pandemia. Il suo auspicio, del resto, “è che lo spirito costruttivo e collaborativo, reciprocamente rispettoso, possa divenire un tratto stabile dei rapporti istituzionali”.
Ma non c’è nulla di irenico nel discorso del Presidente della Repubblica. Più volte ritorna sulla consapevolezza che “questo resta, comunque, un tempo difficile, nell’alternanza di speranze e nuovi allarmi” e “si impone un’esigenza di chiarezza e di lealtà come premesse indispensabili di una piena, e comune, assunzione di responsabilità di fronte ai rischi che tuttora sono davanti a noi”.
Mattarella enumera una per una “le disuguaglianze che feriscono la nostra comunità”: evasione fiscale, sfruttamento del lavoro precario, incuria per i territori, calo demografico, incidenti sul lavoro. Non nasconde le tensioni internazionali che rendono incerto lo scenario globale, un motivo in più per rilanciare un discorso forte sulla Ue: “Abbiamo contribuito a un nuovo corso dell’Europa, adesso vogliamo che non si torni indietro e che si proceda su questa strada”.
In questo Natale segnato ancora dalla pandemia che “ci chiama alla prudenza e alla responsabilità”, il Capo dello Stato avverte però che “non ci sentiamo più in balia degli eventi”. Grazie alla ricerca e alla scienza che “hanno conquistato risultati straordinari” e alla dedizione di medici e operatori sanitari, a cui Mattarella esprime ancora una volta “grande riconoscenza”, ora siamo dotati di “strumenti adeguati per combattere il virus”. Ma fondamentale resta la “convergenza tra le istituzioni e i cittadini”. “Abbiamo compreso che la Repubblica è al tempo stesso istituzioni e comunità”, annota il Capo dello Stato, e “la comunità ha bisogno delle sue istituzioni democratiche per difendere se stessa, per tradurre in realtà i propri valori, per aprirsi la strada verso il futuro”.
Stefano De Martis - Agensir
(Foto ANSA/SIR)