Papa Francesco ha concluso l’udienza di oggi con un appello a pregare per il Congo e per la “martoriata Ucraina”: “Il Signore protegga quella gente e ci porti tutti sulla strada di una pace duratura”. Tema della catechesi la desolazione, prima modalità affettiva del discernimento, che Sant’Ignazio di Lojola definisce così: “L’oscurità dell’anima, il turbamento interiore, lo stimolo verso le cose basse e terrene, l’inquietudine dovuta a diverse agitazioni e tentazioni: così l’anima s’inclina alla sfiducia, è senza speranza e senza amore, e si ritrova pigra, tiepida, triste e come separata dal suo Creatore e Signore”.
“Tutti noi in qualche modo abbiamo fatto esperienza di desolazione”, la tesi del Papa: “Il problema è come poterla leggere, perché anch’essa ha qualcosa di importante da dirci, e se abbiamo fretta di liberarcene, rischiamo di smarrirla”.
“Nessuno vorrebbe essere desolato, triste, questo è vero”, l’analisi di Francesco: “Tutti vorremmo una vita sempre gioiosa, allegra e appagata. Eppure questo, oltre a non essere possibile, non sarebbe neppure un bene per noi. Infatti, il cambiamento di una vita orientata al vizio può iniziare da una situazione di tristezza, di rimorso per ciò che si è fatto. È molto bella l’etimologia di questa parola, ‘rimorso’: letteralmente è la coscienza che morde, che non dà pace”.
L’esempio citato dal Papa è quello di Alessandro Manzoni, che nei Promessi sposi “ci ha dato una splendida descrizione del rimorso come occasione per cambiare vita”, nel celebre dialogo tra il cardinale Federico Borromeo e l’Innominato. “Dio tocca il cuore e ti viene qualcosa dentro”, ha commentato a braccio Francesco: “la tristezza, il rimorso, è un invito a iniziare una strada”. Per questo “è importante imparare a leggere la tristezza”, che “nel nostro tempo è considerata per lo più negativamente, come un male da fuggire a tutti i costi, e invece può essere un indispensabile campanello di allarme per la vita, invitandoci a esplorare paesaggi più ricchi e fertili che la fugacità e l’evasione non consentono”.
San Tommaso, ha ricordato il Papa, “definisce la tristezza un dolore dell’anima: come i nervi per il corpo, essa ridesta l’attenzione di fronte a un possibile pericolo, o a un bene disatteso. Per questo, è indispensabile per la nostra salute, ci protegge perché non facciamo del male a noi stessi e ad altri”. “Sarebbe molto più grave e pericoloso non avvertire questo sentimento”, ha argomentato Francesco, che ha aggiunto a braccio:
“La tristezza a volte lavora come un semaforo: fermati! Sono triste? C’è qualcosa lì”. “Per chi invece ha il desiderio di compiere il bene, la tristezza è un ostacolo con il quale il tentatore vuole scoraggiarci”, ha proseguito il Papa: “In tal caso, si deve agire in maniera esattamente contraria a quanto suggerito, decisi a continuare quanto ci si era proposto di fare. Pensiamo al lavoro, allo studio, alla preghiera, a un impegno assunto: se li lasciassimo appena avvertiamo noia o tristezza, non concluderemmo mai nulla”. La strada verso il bene, ricorda infatti il Vangelo, “è stretta e in salita, richiede un combattimento, un vincere sé stessi. Inizio a pregare, o mi dedico a un’opera buona e, stranamente, proprio allora mi vengono in mente cose da fare con urgenza”.
“È importante, per chi vuole servire il Signore, non lasciarsi guidare dalla desolazione”, l’indicazione di rotta di Francesco, che nella parte finale della catechesi ha denunciato: “Purtroppo, alcuni decidono di abbandonare la vita di preghiera, o la scelta intrapresa, il matrimonio o la vita religiosa, spinti dalla desolazione, senza prima fermarsi a leggere questo stato d’animo, e soprattutto senza l’aiuto di una guida”. “Una regola saggia dice di non fare cambiamenti quando si è desolati”, il consiglio del Papa: “Sarà il tempo successivo, più che l’umore del momento, a mostrare la bontà o meno delle nostre scelte”. “Se vuoi andare sulla strada verso il bene, preparati: ci saranno ostacoli, tentazioni, momenti di tristezza”, il commento di Francesco: “È come quando un professore esamina lo studente: se vede che conosce i punti essenziali della materia, non insiste: ha superato la prova. Se sappiamo attraversare solitudine e desolazione con apertura e consapevolezza, possiamo uscirne rafforzati sotto l’aspetto umano e spirituale”.
“Nessuna prova è al di fuori della nostra portata”, ha assicurato il Papa: “nessuna prova sarà superiore a ciò che possiamo fare, ma non fuggire dalle prove, vedere cosa significa cosa la prova. Cosa significa che sono triste, che sono in desolazione e non posso andare avanti? San Paolo ricorda che nessuno è tentato oltre le sue possibilità, perché il Signore non ci abbandona mai e, con lui vicino, possiamo vincere ogni tentazione”. “E se non vinciamo oggi, ci alziamo un’altra volta, camminiamo e la vinceremo domani”, la conclusione a braccio: “Non permanere morti, già così, vinti per un momento di tristezza e di desolazione: andare avanti! La vita spirituale è sempre camminare”.
Agensir
M.Michela Nicolais