Se è vero che il voto non è il volto, è altrettanto vero che il tempo presente ci restituisce uno sguardo piatto caratterizzato da un associazionismo indifferenziato che mette sullo stesso piano la persona dell’alunno e il lavoro da lui svolto. Da docente, credo sia doveroso fare una breve riflessione sulla percezione che si ha oggi della maturità, sugli stati d’animo che accompagnano i ragazzi al traguardo finale del loro percorso formativo. Da una parte, abbiamo la famiglia e la scuola; e dall’altra parte, abbiamo i maturandi.
È ormai un dato assodato la consapevolezza secondo cui la famiglia è e rimane la prima agenzia educativa. Gettare uno sguardo attento su come le famiglie vivono l’avvicinarsi dell’esame di stato può essere utile per cogliere la prospettiva dei maturandi. La famiglia è per definizione il luogo naturale di identità. Parlare di identità significa parlare soprattutto di una novità, quella del figlio. La vita del figlio è un progetto che impegna non solo la famiglia, ma l’intera società.
Secondo un detto africano, per mettere al mondo un figlio, si è da soli, ma per crescere un figlio, ci vuole un intero villaggio. Metaforicamente parlando, il villaggio sarebbe l’intera comunità scolastica nelle sue diverse forme. Quale relazione possibile tra la famiglia e la scuola? La famiglia contemporanea concepisce e vive la relazione con il figlio come uno spazio privato, perciò, vietato ad altri, e per certi casi, anche alla scuola. Il percorso di formazione di un ragazzo richiede necessariamente una relazione strutturata in chiave genitoriale, dove il docente incarna simbolicamente la famiglia del ragazzo, cioè, il genitore.
Quando, nostro malgrado, viene meno il patto educativo tra la famiglia e la scuola, il controllo diffidente sostituisce la fiducia. Questo stato di cose porta la famiglia a vivere l’avvicinarsi dell’esame di stato come l’avvicinarsi del suo esame, come il momento valutativo della sua “capacità” di essere stata o meno all’altezza. Naturalmente, il ragazzo, cosciente di questa attesa da parte della famiglia, si avvicina all’esame di stato, con una forte preoccupazione: quella di non riuscire a corrispondere all’attesa della famiglia.
Il percorso di formazione della secondaria di secondo grado si conclude con il superamento dell’esame di stato, comunemente chiamato maturità. L’esito finale è il frutto del lavoro svolto dall’alunno durante l’intero percorso. Come è stato sottolineato nelle prime righe di questa riflessione, associare il voto al volto dell’alunno è la causa principale di numerose crisi d’ansia, di paure di non farcela da parte di molti maturandi
In questo quadro di confusione, la voce dissonante della scuola suona come un barlume di speranza per i maturandi. In qualità di docente, mi permetto di ribadire a tutti i nostri maturandi, che il voto finale non è e non sarà il loro volto. Sarà il lavoro svolto in questi anni che verrà sottoposto alla valutazione, e non la persona che sono.
Nessuno può permettersi di dare un giudizio alla vostra persona. Voi siete e sarete sempre di più rispetto a quello che fate. In questi anni, vi si siete impegnati, rispettivamente con le abilità e predisposizioni differenti, ma desiderosi di diventare donne e uomini liberi, capaci di autonomia, di stupore e di creatività. Questa è la vostra maturità. E lo Stato italiano vuole certificare questo momento della vostra crescita. Tra di voi, ci sono futuri ingegneri, architetti, informatici, matematici, fisici, filosofi, medici, periti in ambiti diversi, sacerdoti, giornalisti, politici, insegnanti, magistrati e avvocati ecc… Badate a non dare troppo peso a questi titoli che possono risultare in alcuni casi, dei contenitori vuoti.
Pensate invece a riempire della vostra persona, della vostra maturità, questi titoli. A quel punto, sarete davvero maturi. Voi non siete soltanto quello che fate, voi siete molto di più. Il voto non è il volto!