Il Papa che prega, da solo, sul sagrato della basilica vaticana, in una piazza San Pietro vuota e bagnata dalla pioggia. Non era mai accaduto prima. È l’istantanea, già consegnata alla storia, che esprime la portata di un evento che sta sconvolgendo il mondo: la pandemia di Covid-19. Una prima volta all’interno di un’altra prima volta: l’evento più drammatico dalla seconda guerra mondiale, come lo ha definito lo stesso Francesco. Quando, sette anni fa, subito dopo la sua elezione il 265° successore di Pietro si è affacciato dalla Loggia delle Benedizioni, annunciando che il vescovo di Roma concepiva il suo pontificato come un cammino “vescovo-popolo”, l’uno accanto all’altro, non avrebbe mai immaginato di trovarsi, un giorno, da solo in quella stessa piazza.
Un pastore “con l’odore delle pecore” senza il suo gregge, a causa della guerra in atto contro un nemico invisibile. Eppure, quella che venerdì 27 marzo le immagini diffuse in mondovisione ritraggono come una piazza deserta, quasi spettrale, è in realtà incommensurabilmente più piena di quella degli eventi più affollati. Nelle case di tutto il mondo, “cum Petro e sub Petro”, pregano in contemporanea milioni di persone. A vegliare su di loro, l’immagine della “Salus Populi Romani” e il Crocifisso di San Marcello al Corso, invocato per la liberazione della città eterna dalla peste del 1522, davanti al quale Francesco ha pregato il 15 marzo scorso dopo un pellegrinaggio a piedi da Santa Maria Maggiore, da solo, in una Roma deserta. Un’altra istantanea che ha fatto e farà il giro del mondo.
«Questo luogo, che racconta la fede rocciosa di Pietro, stasera vorrei affidarvi tutti al Signore, per l’intercessione della Madonna, salute del suo popolo, stella del mare in tempesta”, dice Francesco al termine dell’omelia, che si conclude con un atto di affidamento a Maria. “Da questo colonnato che abbraccia Roma e il mondo scenda su di voi, come un abbraccio consolante, la benedizione di Dio”, le parole di Francesco: “Signore, benedici il mondo, dona salute ai corpi e conforto ai cuori. Non lasciarci in balia della tempesta”. Alla fine, la Benedizione Urbi et Orbi, con la possibilità dell’indulgenza plenaria.
“Da settimane sembra che sia scesa la sera”, la prima fotografia sul momento presente, eccezionale nella sua gravità, così come senza precedenti è lo scenario nel quale Francesco eleva la sua supplica: “Fitte tenebre si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città; si sono impadronite delle nostre vite riempiendo tutto di un silenzio assordante e di un vuoto desolante, che paralizza ogni cosa al suo passaggio: si sente nell’aria, si avverte nei gesti, lo dicono gli sguardi”.
“Ci siamo ritrovati impauriti e smarriti”, prosegue Francesco: “Su questa barca… ci siamo tutti”. La tempesta del coronavirus, come quella che ha sorpreso Gesù e i discepoli sul lago di Tiberiade, “smaschera la nostra vulnerabilità e lascia scoperte quelle false e superflue sicurezze con cui abbiamo costruito le nostre agende, i nostri progetti, le nostre abitudini e priorità”. Con la tempesta, quella che ha scatenato dentro e fuori di noi la pandemia in atto, “è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, ancora una volta, quella – benedetta – appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli”.
Al centro dell’omelia il contrasto, sotto forma di denuncia, tra il mondo in cui abbiamo vissuto finora e quello rivelatoci da un virus finora sconosciuto: “In questo nostro mondo, che Tu ami più di noi, siamo andati avanti a tutta velocità, sentendoci forti e capaci in tutto. Avidi di guadagno, ci siamo lasciati assorbire dalle cose e frastornare dalla fretta. Non ci siamo fermati davanti ai tuoi richiami, non ci siamo ridestati di fronte a guerre e ingiustizie planetarie, non abbiamo ascoltato il grido dei poveri, e del nostro pianeta gravemente malato. Abbiamo proseguito imperterriti, pensando di rimanere sempre sani in un mondo malato”. Questa Quaresima del tutto eccezionale, per Francesco, è il tempo di “scegliere che cosa conta e che cosa passa, di separare ciò che è necessario da ciò che non lo è.
È il tempo di reimpostare la rotta della vita verso di Te, Signore, e verso gli altri”. Accanto a noi, in tempi di coronavirus, “tanti compagni di viaggio esemplari, che, nella paura, hanno reagito donando la propria vita.“Le nostre vite sono tessute e sostenute da persone comuni – solitamente dimenticate – che non compaiono nei titoli dei giornali e delle riviste né nelle grandi passerelle dell’ultimo show ma, senza dubbio, stanno scrivendo oggi gli avvenimenti decisivi della nostra storia: medici, infermieri e infermiere, addetti dei supermercati, addetti alle pulizie, badanti, trasportatori, forze dell’ordine, volontari, sacerdoti, religiose e tanti ma tanti altri che hanno compreso che nessuno si salva da solo”.
“Quanta gente esercita ogni giorno pazienza e infonde speranza, avendo cura di non seminare panico ma corresponsabilità”, esclama Francesco: “Quanti padri, madri, nonni e nonne, insegnanti mostrano ai nostri bambini, con gesti piccoli e quotidiani, come affrontare e attraversare una crisi riadattando abitudini, alzando gli sguardi e stimolando la preghiera. Quante persone pregano, offrono e intercedono per il bene di tutti. La preghiera e il servizio silenzioso: sono le nostre armi vincenti”. “Non siamo autosufficienti, da soli affondiamo: abbiamo bisogno del Signore come gli antichi naviganti delle stelle”, spiega il Papa invitandoci a prendere Gesù “nelle barche delle nostre vite”. Con Lui a bordo non si fa naufragio, “perché questa è la forza di Dio: volgere al bene tutto quello che ci capita, anche le cose brutte. Egli porta il sereno nelle nostre tempeste, perché con Dio la vita non muore mai”. Neanche in questi giorni “in cui tutto sembra naufragare”.
di M.Michela Nicolais (Agensir)