Anno 131 - Marzo 2019Scopri di più
A Lisbona, in difesa del padre
Alfredo Pescante
Il “miracolo del giovane risuscitato da sant’Antonio” (la terza scena da sinistra nella Cappella dell’Arca) presenta un eclatante esempio della taumaturgia antoniana e della scultura del tardo Rinascimento. Sbozzata da Danese Cattaneo nel 1572, che morì l’anno dopo, la candida lastra fu affidata al ventenne allievo Girolamo Campagnola che la ultimò nel 1577, firmandosi sul marmo e scolpendo in stiacciato il volto del maestro. Ci teneva ad abbellire la Basilica! S’era infatti appoggiato al pittore Giuseppe Salviati che inviò lettera di presentazione a Marco Mantova, uno dei presidenti dell’Arca. La raccomandazione sortì l’effetto, donandoci un artista che svolse con genialità una trama scritta da Bartolomeo da Pisa (1385).
Il Santo interviene per salvare il papà e i suoi, accusati d’omicidio. Cinque flash dello storico raccontano altrettanti prodigi nel prodigio: Antonio conosce l’accaduto per divina ispirazione; con l’aiuto celeste è trasportato a Lisbona; risuscita il giovane che scagiona gli accusati; costoro vengono liberati; il mattino seguente il Santo è a Padova.
Commozione e stupore esprimono i personaggi che in diverse pose guardano il defunto colloquiare con Antonio, invocato dai suoi genitori. Il giudice sulla sedia, a bocca aperta: «Mai visto nulla di eguale!».
L’unico al quale non interessa l’accaduto è il bimbo che sfugge alla mamma. Il Santo, alzato l'indice della destra, fiducioso chiama in aiuto il Datore d’ogni grazia.
Cosa non ha fatto Antonio per amore del papà! Cuore che palpita da figlio “affettuoso”, anche se a Dio per sempre donato.