Anno 134 - Gennaio 2022Scopri di più
Anche noi in cammino per adorarlo
suor Marzia Ceschia
Epifania è una parola che deriva dalla lingua greca e significa “manifestazione”: nel tempo del Natale questa solennità – di cui si dice popolarmente che “tutte le feste porta via”... magari pensando che sia la Befana a fare questo dispetto – rinvia al mistero dell’Incarnazione.
Il Verbo si è fatto carne, è venuto in mezzo a noi, si è reso visibile: «noi vedemmo la sua gloria» (Gv 1,14), annuncia l’evangelista Giovanni e ancora afferma che l’abbiamo udito, veduto con i nostri occhi, l’abbiamo contemplato e toccato con le nostre mani (cf. 1Gv 1,1).
Festa della luce e che porta alla luce e che ci rinvia al mistero grande di Dio che pone la sua dimora tra gli uomini. Anche a noi è dato di farne esperienza nell’Eucaristia: possiamo addirittura gustarlo e dal di dentro lasciarci trasformare, nutrire, corroborare. Il Signore che sta in mezzo lo possiamo vedere e contemplare anche là dove la fede in Lui ci motiva continuamente a stare in comunione con gli altri: «Dove due o tre sono riuniti nel mio nome io sono in mezzo a loro» (Mt 18,15-20).
In questa logica i nostri presepi possono durare tutta la vita, perché sono la nostra vita. La nostra quotidianità è incessantemente chiamata a confrontarsi con una questione fondamentale: Dio sta in mezzo a quello che scelgo, che faccio, a quello che sento importante, sta in mezzo a quello che io sono e desidero essere o no?
Le chiese orientali hanno associato l’Epifania con la memoria del Battesimo di Gesù al Giordano: l’Epifania è una delle date battesimali, insieme alle solennità di Pasqua e Pentecoste. In Occidente l’attenzione si è più focalizzata sulla visita dei Magi, primizia di tutti i popoli. Questa scena ha avuto un tale impatto nella devozione del popolo che talora risulta difficile distinguere ciò che il Vangelo racconta da quanto la devozione stessa ha aggiunto.
Matteo, nel suo Vangelo, non dice che i Magi siano “re”, né che siano tre, né – tanto meno – assegna loro dei nomi. Nulla viene svelato della loro identità: i pochi indizi che possiamo raccogliere permettono di ritenere che presumibilmente si tratti di personalità legate all’ambiente religioso persiano. Essi vengono dall’Oriente, da un’altra religione, da un altro contesto, sono dei lontani, degli estranei. Si dice che abbiano «visto sorgere la sua stella» (Mt 2,9).
Questi stranieri cosa hanno visto? Che cosa hanno capito? Che cosa sanno? Perché fare un viaggio così lungo? Perché tutto questo cammino? Essi sono figura dell’umanità che sempre cerca qualcuno da adorare e dell’adorazione si danno due vie: una – quella che infine riavvolge la strada chiudendo la possibilità del viaggio – è l’adorazione che ha sotto sotto come oggetto se stessi, la propria persona.
È l’atteggiamento di Erode che subdolamente e con inganno manda i magi in avanscoperta perché trovino il Bambino e perché «anch’io venga ad adorarlo» (Mt 2,7), ma in realtà preoccupato che venga intaccato il suo potere. L’altra via è quella dei Magi che scrutano il cielo, vanno oltre se stessi, si fidano dei segni e quando trovano Colui che cercavano si prostrano. Il verbo utilizzato nel Vangelo indica un gesto che solo davanti a Dio si compie.
Erode, che è vicino, appartiene allo stesso contesto di Gesù, non vede, non riconosce; i Magi – i lontani, gli stranieri – sanno vedere e, mentre offrono i loro doni, riconoscono il Dono che sta innanzi a loro. L’Epifania ci aiuta così a penetrare più a fondo il mistero del Natale: Colui che si è fatto carne è Colui a cui è dovuta l’adorazione.
Colui che si è prostrato innanzi all’uomo tanto da farsi piccolo, bambino, tanto da lavare i piedi, tanto da morire sulla Croce è il solo che merita la nostra prostrazione. Poiché mentre ci abbassiamo, Lui di più si abbassa per servirci ancora e come servo si manifesta per amore.
L’Epifania porta alla luce l’illusione di tante nostre false adorazioni – che nella Scrittura hanno il nome di idolatria - che ottenebrano non solo il vero volto di Dio, ma anche la vera immagine dell’uomo. L’Epifania ci sollecita anche a essere attenti – non chiusi nei nostri pregiudizi – nei confronti della novità che colui che riteniamo “straniero” può portare, a essere aperti nei confronti di ogni ricerca sincera, fiduciosi nel Signore che si lascia trovare da chi è guidato da un anelito di senso, dalla sete di una più alta e stabile verità.