Anno 132 - Marzo 2020Scopri di più
C’è ancora l’Annunciazione?
Don Livio Tonello, direttore
Da secoli nel calendario la data del 25 marzo segna l’inizio dell’evento dell’incarnazione con la solennità liturgica dell’Annunciazione del Signore che ricorda l’istante in cui il Verbo eterno, facendosi uomo per opera dello Spirito Santo nel grembo della vergine Maria, divenne partecipe della nostra carne.
Ma ora la ricorrenza non è più sola. In previsione dei 700 anni dalla morte di Dante Alighieri (1321-2021) è stato istituito il Dantedì. Il Consiglio dei ministri del governo italiano ha previsto una giornata nazionale dedicata al “sommo poeta” nella data in cui, secondo gli studiosi, iniziò il suo viaggio negli inferi.
E così un’altra solennità religiosa, di carattere cristologico e secondariamente mariano, scende in secondo piano a favore di ricorrenze civili come già capitato con ferragosto, capodanno, festa del papà, festa dei nonni... Un altro schiaffo alla tradizione cristiana? In una società laicista e plurale è giocoforza trovarsi di fronte a scelte che non tengono conto della fede. Il tempo e i giorni sono meno scanditi dalla memoria degli eventi sacri.
La storia è sempre più umana e meno “tempo di grazia”. Ma forse non è proprio così drammatico questo “giorno di Dante” istituito in sua memoria proprio il 25 marzo. Del padre della lingua italiana ci è nota soprattutto la Divina commedia, testo di una liricità unica, conosciuto in tutto il mondo, nel quale egli coniuga gli apporti della cultura cristiana medievale con le più alte aspirazioni umane. Nelle tre cantiche sono traslati contenuti e verità secondo le dottrine teologiche del tempo.
Le sue terzine veicolano intuizioni che permettono di accostare il mistero di Dio, dell’uomo e del suo destino. Sono versi di fede genuina, interpreti del legame che unisce il creatore alle sue creature. Come quelli che traspongono la visita dell’arcangelo a Maria: L'angel che venne in terra col decreto de la molt'anni lagrimata pace, ch'aperse il ciel del suo lungo divieto, dinanzi a noi pareva sì verace quivi intagliato in un atto soave, che non sembiava imagine che tace.
Giurato si saria ch’el dicesse 'Ave!'; perché iv' era imaginata quella ch’ad aprir l'alto amor volse la chiave; e avea in atto impressa esta favella ‘Ecce ancilla Dei’, propriamente come figura in cera si suggella. (Purgatorio, Canto X, 34-45) Alla fin fine possiamo dire che Dante non toglie lustro alla memoria liturgica dell’Incarnazione, né farà ombra alla Vergine.
Le si affianca per additare la carne del Verbo come l’indissolubile unione della realtà divina con la dimensione umana. Affermarne l’unitarietà è compito di ogni credente per continuare a scrivere pagine di storia salvifica, versi non solo poetici ma di santità. Per non contrapporre l’uomo e Dio, ma rivelare quel legame che anche l’arte nelle sue varie espressioni ha saputo magnificamente rappresentare.