Anno 134 - Giugno 2022Scopri di più
Come ai tempi di Antonio?
Don Livio Tonello, direttore
L’ultima grande celebrazione della festa di Sant’Antonio è stata nel 2019. Sembra sia passata un’eternità. Nel frattempo si sono avvicendate piaghe ataviche: peste, guerra e fame. Oggi le decliniamo diversamente: pandemia, invasione armata, carestie, crisi energetica, crisi ecologica... E allora dobbiamo elevare ancora la classica litania popolare delle rogazioni: a peste, fame et bello libera nos, Domine! Niente di nuovo sotto il sole sin dai tempi di frate Antonio.
Eppure il nostro sembra un tempo strano e indecifrabile. Un tempo che non sapremmo come definire se non “sospeso”, nell’attesa che tutto passi. Malattie che ritenevamo sconfitte, violenze che pensavamo di non rivedere, ristrettezze materiali di antica memoria... tutto si ripresenta a ricordarci che facciamo fatica a imparare dalla storia, che si dice sia maestra di vita, ma annovera pochi discepoli.
Abbiamo quasi assistito a «un retrocedere della storia e della civiltà che mai avremmo immaginato possibile in questo inizio di millennio», ha detto il presidente della Repubblica Sergio Mattarella partecipando alla inaugurazione dell’anno accademico all’Università di Trieste (28 marzo 2022). Liberaci Signore dai mali presenti, ma prima ancora da noi stessi. Perché appare chiaro che non siamo di fronte a fatalità, a castighi divini, a una congettura sfavorevole della storia. Raccogliamo il frutto delle nostre scelte, le conseguenze di ciò che seminiamo.
Eppure coloro che ci hanno preceduto, nel bene e nel male, ci hanno lasciato degli insegnamenti. Dai loro errori dovremmo imparare per progredire nel bene; dalle felici intuizioni dovremmo lasciarci affascinare per continuare a svilupparle. La figura di Sant’Antonio, che onoriamo in questo mese, fa parte di quella schiera di persone che prima di essere sante sono state cittadini, guide, testimoni.
E proprio per aver vissuto la loro umanità in un grado elevato sono diventati santi, modelli di vita, seppur appartenenti a un preciso periodo storico. Le guerre e la violenza c’erano anche allora, la fame e le pestilenze ritornavano periodicamente. Ma con quale forza d’animo anche il nostro Santo le ha affrontate mettendosi a servizio della pace, della giustizia, della riconciliazione, del bene comune!
Abbiamo molto da imparare, abbiamo tanto da ricordare. E perché la celebrazione di un modello di santità non sia solo commemorativa, va pensata una imitazione ancorata all’oggi. L’invocazione che esce dalle nostre labbra – libera nos Domine – è come un esorcismo che ci preserva dall’influsso di colui che “seduce tutta la terra” (Ap 12, 9) e ci rimette in contatto con la nostra umanità, con quello che ci rende fratelli e sorelle l’uno dell’altro.
È una preghiera che ci ricorda i valori che stanno alla base della vita umana e che vanno preservati. È una invocazione che non chiede a Dio di regalarci qualcosa, ma di aiutarci a rammentare che ci sono mali dai quali dobbiamo difenderci senza crearli. Da quei mali di cui in questi anni abbiamo sperimentato la presenza.