Anno 135 - Aprile 2023Scopri di più
E la croce fiorisce
Elide Siviero
Ho scoperto che in Giappone esiste un’usanza tradizionale chiamata Hanami che letteralmente significa “guardare i fiori”. Si tratta della tradizione di godere della bellezza della fioritura primaverile degli alberi. Ormai si riferisce principalmente alla fioritura dei ciliegi giapponesi (in giapponese sakura), e quindi lo Hanami è diventato sinonimo dell’ammirare il fiore del ciliegio, che per la sua delicatezza diventa per i giapponesi il simbolo della fragilità, ma anche della bellezza dell’esistenza.
Questa tradizione, antica più di un millennio, è ancora molto sentita in Giappone tanto da provocare vere e proprie migrazioni di milioni di giapponesi dalle loro città verso le sessanta località più famose del Paese per questo evento. Si fanno addirittura le previsioni per la fioritura, come quelle meteorologiche, per sapere esattamente quando comincia e fino a quando dura. Lo spettacolo dei ciliegi in fiore occupa gran parte della primavera e va da inizio aprile fino a metà maggio, a seconda delle località.
Tradizionalmente la festa consiste nell’ammirare la fioritura mentre si fa un sostanzioso picnic all’ombra dei sakura in fiore. Esistono parchi con molti ciliegi in fiore e lo spettacolo è davvero stupefacente, tanto sorprendente quanto effimero, fugace. Nello Hanami è racchiuso uno dei concetti che più profondamente attraversa il pensiero giapponese, quello buddista “dell’impermanenza dell’esistenza”. Sembra raccontarci l’antica attitudine degli abitanti del Sol Levante ad accettare la caducità e la provvisorietà dell’esistenza in quanto tale; la sensibilità ad abbracciare nella struggente bellezza della breve fioritura, la malinconia della fine.
Un altro termine guida questo evento: il wabi-sabi che costituisce una visione del mondo giapponese fondata sull’accettazione della transitorietà e dell’imperfezione delle cose. Una traduzione molto semplice di wabi-sabi potrebbe essere “bellezza triste”. Sono due parole che insieme esprimono una filosofia di vita, un sentire e un modo di stare, di orientarsi nel mondo apprezzandone la bellezza autentica che privilegia l’imperfezione, il divenire e la transitorietà, perché “nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto”.
Mi ha molto colpito che un popolo si dedichi con tanta passione ad ammirare la bellezza precaria dei ciliegi in fiore, che vi consacri del tempo e dei riti per poi accettare che tutto finisca, che la bellezza passi. Da una parte c’è l’invito a imparare a gioire del momento presente, a non lasciarsi sfuggire nemmeno un fiore dalla nostra contemplazione, dall’altra c’è il rischio che ci si fermi solo a ciò che è transeunte, alla bellezza che tristemente appassisce, senza aprirsi a Colui che sussiste oltre “l’impermanenza dell’essere”. Perché per noi cristiani, guardare alla fine è il solo modo per potersi aprire a un nuovo inizio, alla vita nuova.
Per noi tutto ha i colori del Mistero pasquale, della croce che fiorisce, della morte che spalanca il cielo, della tomba che risuona di un canto di vittoria. Noi dobbiamo guardare un albero fiorito e ringraziare Dio per la vita che ci annuncia: non possiamo fermarci alla bellezza che passa. Sappiamo che il tempo si è fatto breve (cfr 1Cor 7,25): questo non ci deve destabilizzare, ma radicare in Dio, l’Eterno. Così davanti allo Hanami mi ritornano in mente dei versi che scrissi da giovane: Innevò di petali il prato, il ciliegio nel vento. Sfioriva senza pena. Non poteva trattenere i fiori se voleva di frutti ricoprirsi. Sfiorire per portare frutto è immagine del Mistero pasquale, del morire per dare la vita; e questa è la sfida del credente: alleluia!