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Fallimenti di successo

Elide Siviero

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Ho scoperto che il 13 ottobre 2021 in Finlandia si è celebrata la giornata del fallimento. Chi si sognerebbe di dedicare un giorno all’anno in cui le proprie deficienze, le proprie imperfezioni vengono celebrate? Eppure ecco la sorpresa finlandese che, tra l’altro, suggerisce di aggiungere nel proprio curriculum da presentare a un’azienda anche i fallimenti della propria vita, le cose che non si è riusciti a fare.

Segnalare i propri insuccessi, infatti, non solo mostra la realtà e i limiti delle nostre potenzialità, ma anche che abbiamo tentato e che non ci siamo fermati, nonostante la sconfitta. Nelson Mandela diceva: «Io non perdo mai: o vinco o imparo!». Il fallimento è quindi una via di apprendimento che ci aiuta a crescere. Boris Pasternak diceva: «Io non amo la gente perfetta, quelli che non sono mai caduti, non hanno inciampato.

La loro è una virtù spenta, di poco valore. A loro non si è svelata la bellezza della vita». Questa affermazione è un inno alla vita, alla bellezza delle imperfezioni, alle cadute, a tutto quello che svela il nostro limite e che ci spinge a guardare oltre. Il fallimento, tra le esperienze umane, è assai più comune della riuscita, del successo. Samuel Beckett (1906-1989), drammaturgo irlandese, diceva che non è possibile raggiungere alcun risultato nella vita se prima non si impara a fallire e a fare del proprio fallimento una forza, un motore che ci spinge a migliorare.

La bellezza di ciò che possiamo raggiungere non può non passare attraverso le cadute e l’osservazione dei propri errori. La bellezza da sola non esiste, ma si conquista con sforzo e dedizione, attraverso l’umiltà di riconoscere la propria condizione come perfettibile, mai perfetta. Beckett scriveva: «Mai provato, mai fallito. Prova ancora, fallisci ancora, fallisci meglio». Tutto questo è incoraggiante, ma c’è un aspetto ancora più esaltante del fallimento per noi cristiani. La storia di Dio con l’uomo è una storia di fallimento.

Da un punto di vista umano Gesù Cristo è stato un fallito. Possiamo individuare i fallimenti di Gesù e vedremo, con grande sorpresa, che non sono pochi. Gesù delude il suo popolo che si aspetta un Messia diverso, come ci narra nell’episodio della fredda accoglienza dei suoi concittadini quando ritorna a Nazareth; non è capito nemmeno dai suoi discepoli che litigano per i primi posti, proprio quando lui sta parlando della sua passione e morte... Non è capito da Pietro che vorrebbe impedirgli di compiere la volontà del Padre e che lo rinnega; Giuda, quello di cui tutti si fidavano tanto da essere l’economo del gruppo, addirittura lo tradisce e lo consegna ai suoi nemici.

La morte in croce è il punto più alto dell’apparente fallimento di Gesù Cristo: un insuccesso pastorale clamoroso con i discepoli che fuggono e lo lasciano solo, con il dileggio degli avversari, e con un fariseo che lo tira giù, morto, dalla croce. Questo ci mostra in maniera esemplare che, rispetto a un mondo che mira solo a promuovere il successo e i vincenti, il Cristianesimo non ci promette la riuscita di tutti i nostri piani, l’esenzione dall’insuccesso, ma ci offre il modo di superarlo cambiando angolatura di veduta. «Il fallimento costringe a trovare scampo fuori da noi stessi» non nella nostra bravura, ma nella nostra fiducia in Dio.

Pensiamo alla moltiplicazione dei pani in cui i discepoli chiedono come sfamare più di 5000 uomini con cinque pani e due pesci. Gesù ci mostra che noi, affamati, siamo chiamati a sfamare, ed è proprio lì che ci saziamo. Noi pensiamo in maniera matematica: se ho, posso dare; se non ho, non posso dare. Ma con Dio non funziona così. Io non do se ho, ma do se mi fido. Non do se sono all’altezza della domanda dell’altro, ma se sono in un rapporto con Dio.

Il problema non sarà avere abbastanza per sfamare la folla, ma dare il mio poco al Signore Gesù perché sia lui a sfamarla con il poco che io ho, e sperimentare la sua abbondanza. E allora è proprio là, nella constatazione del mio limite, del mio fallimento, che scoprirò che la vera riuscita è perdere la vita per ritrovarla in Colui che fallì nella morte per poterla annientare con la risurrezione.