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Fermata poetica

Elide Siviero

Passeggiando per Bologna ho notato un cartello che diceva questo: «Sei in attesa? Sei di passaggio? Fermati un attimo qui. Bastano pochi secondi e ti farai un viaggio gratuito e inedito. Un viaggio tra le strofe della poesia. Questa è una fermata poetica, utile a fermare il tempo e a intraprendere un’esperienza inusuale.

La destinazione è la poesia errante qui sopra. Leggimi e rimarrò con te fino a quando lo vorrai. Firmato la fermata poetica». Che meraviglia! Ho cercato sopra e sotto se ci fossero delle poesie: probabilmente c’erano prima ed erano sparite. Ho pensato che forse la gente di Bologna sa che può lasciare lì le sue poesie e qualcuno le legge: l’idea di creare una “fermata poetica” mi ha veramente entusiasmato.

Ho notato che in alcune strade erano scritte qua e là delle poesie, tutte senza firma. «Una città costellata di poesia!», ho pensato. Una diceva: «Non correre. Fermati. E guarda. Guarda la formica vicino alla ruota dell’auto. Guarda. Fermati. Non correre. Tira il freno, alza il pedale. Abbassa la serranda dell’inferno». Un invito davvero forte, deciso, a fermarsi per poter così mettere fuori da sé l’inferno del caos. È come se questa città volesse creare delle soste poetiche in cui chi lo desidera può ritrovare il centro di sé stesso: l’idea è incantevole.

La fermata poetica è ciò che ti toglie dal tuo tran tran quotidiano, dalla tua corsa frenetica, dall’unica idea di produrre, di correre, di fare presto… “Fermati!”, invita la poesia, e guardati attorno. Nel Salmo 46, Dio stesso comanda di fermarsi: «Fermatevi e sappiate che io sono Dio, eccelso tra le genti, eccelso sulla terra» (Sl 46,11), per dirci che se non ci fermiamo, non possiamo conoscere Dio. È Lui la nostra vera pausa poetica. Nel Vangelo leggiamo: «Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e insegnato.

Ed egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’...» (Marco 6, 30-34). Gesù propone ai suoi discepoli una sosta; insegna loro a fare quello che faceva lui: ad armonizzare azione e preghiera. Padre Raniero Cantalamessa, in una sua omelia su questo brano, afferma che qui si fa l’elogio della lentezza. «Il ritmo della vita ha preso una velocità che supera le nostre capacità di adattamento. “Affrettati lentamente”, festina lente, dicevano i latini.

Oggi si è cancellato l’avverbio “lentamente” e si ubbidisce solo al verbo: corri, sbrigati. Il correre è diventato spesso una frenesia e una malattia. Si dice: “Chi si ferma è perduto”, ma perduto è anche chi non si ferma mai. È perduto dietro parole, immagini, informazioni, emozioni che ruotano vorticosamente... Succede che invece di integrare le cose dentro di sé, sono le persone a consegnarsi alle cose».

La nostra fermata poetica quotidiana è la preghiera che ci unisce a Dio, che ci apre al suo mistero, anche se a volte sappiamo solo balbettare. Ma la nostra fermata poetica per eccellenza è la Domenica che ci immerge nel Mistero pasquale di Cristo perché possiamo trovare in Lui il senso pieno della nostra vita e trasformare il nostro correre in un viaggio verso di Lui. Se non ci fermiamo, possiamo trovarci al confine della nostra vita senza aver avuto la possibilità di viverla davvero. Gesù Cristo, nel Vangelo, non dà mai l’impressione di essere agitato dalla fretta.

A volte addirittura perde del tempo: tutti lo cercano ed egli non si fa trovare, assorto com’è in preghiera. Mi rimane nel cuore quest’altra poesia scritta su una colonna di un portico di Bologna: «Non voglio che mi ami. Voglio che ami: gli incendi non hanno padroni». Solo se ci fermiamo possiamo scoprire l’incendio dell’amore di Dio, che divampa senza padroni per ciascuno di noi.