Anno 132 - Marzo 2020Scopri di più
Fidanzamento: tempo di stupore e conoscenza
mons. Giampaolo Dianin, vescovo
Immagino il fidanzamento come un terreno buono, arato, disponibile per una seminagione carica di promesse e di frutti. Un tempo di grande fecondità perché da quella seminagione nascerà una coppia e, forse, anche un matrimonio e dei figli. Un tempo di stupore, ma anche di ricerca, il tutto nutrito dal sole della grazia divina. Immagino che i giovani fidanzati possano essere contagiosi anche nei confronti della comunità cristiana con la gioia per l’esperienza che vivono.
Papa Francesco scrive: «I giovani che si sposano possono contribuire a rinnovare il tessuto stesso di tutto il corpo ecclesiale: la particolare forma di amicizia che essi vivono può diventare contagiosa e far crescere nell’amicizia e nella fraternità la comunità cristiana di cui sono parte» (AL 207). Tutto questo è possibile se la comunità cristiana non considera l’esperienza che stanno vivendo come una semplice cornice del loro essere giovani, ma la sa accogliere, valorizzare e al contempo sostenere e verificare mettendo a disposizione dei fidanzati le proprie risorse formative.
Il fidanzamento è anzitutto un tempo carico di stupore. I giovani che vivono questa esperienza sembrano trasfigurati e riescono a dare il meglio di loro stessi. Escono dal torpore di una vita dove magari erano figli serviti e riveriti per diventare capaci di una nuova creatività. Sentirsi amati è esperienza di liberazione che fa uscire il meglio di sé; possiamo dire che l’amore permette alla persona di conoscere in modo diverso se stessi, è una scuola di umanizzazione.
Lo stupore è anche la porta d’ingresso della fede e la sfida di una comunità cristiana, e di chi è chiamato ad accompagnare i fidanzati, è quella di parlare di Dio non come di una realtà esterna ed estranea a questa esperienza, ma come la sorgente e il motivo stesso del loro amore. Se due persone si amano è perché sono state prima amate da Dio, perché Dio le ha create per l’amore.
Siamo stati creati a immagine di un Dio amore e comunione. «L’amore è da Dio – scrive l’apostolo Giovanni – chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore» (1Gv 4,7-8). L’amore è un seme che ci è stato donato e fa i conti col nostro terreno e con la nostra capacità di coltivarlo. L’amore, come stupore per l’altro e come nostalgia di comunione con lui, può portare i due fidanzati a comprendere un’altra nostalgia di comunione e a rimanere stupiti di fronte a Colui che li ha creati per amare. Scrive Lewis: «Una cosa devo al matrimonio.
Mai più crederò che la religione sia un prodotto dei nostri appetiti inconsci e insoddisfatti e un surrogato del sesso. I pochi anni che io e mia moglie abbiamo vissuto insieme sono stati un vero banchetto d’amore; l’amore in tutte le sue modulazioni: solenne e festoso, romantico e realistico, a volte clamoroso come un temporale, a volte dimesso e accogliente come infilarsi le pantofole. Non un angolo del cuore e del corpo è rimasto insoddisfatto. Se Dio fosse un surrogato dell’amore, avremmo dovuto perdere ogni interesse per Lui. Perché sprecare il tempo con i surrogati, quando si ha l’originale? Ma sapevamo entrambi che volevamo qualcosa oltre l’altro, qualcosa di diverso» (C. Lewis, Diario di un dolore, Adelphi, Milano 1990, pp. 13-14).
Il fidanzamento è tempo di conoscenza. L’incontro con l’altro è una vera rivoluzione perché il rapporto è profondamente coinvolgente: non solo io conosco l’altro, ma conosco aspetti nuovi di me stesso. Mi accorgo che ho tante potenzialità che l’amore del partner fa venire alla luce: divento dolce, intraprendente, simpatico, capace di discorsi profondi. Ma mi accorgo di avere anche dei lati oscuri, fatti di gelosia, intolleranza, impazienza.
Di fronte all’uomo che ama, la donna rilegge il legame col proprio padre e di fronte alla donna l’uomo rilegge la propria relazione con la madre; ci si accorge di assomigliare a loro e questo può piacere, come può non piacere, ma in entrambi i casi può diventare un cantiere di lavoro. Questa conoscenza è anche tempo di verità: i fidanzati cominciano a lasciar cadere le maschere, quelle che all’inizio avevano indossato per sedurre e mostrare il meglio di sé. Quanto più cresce la fiducia nell’altro e nella relazione, tanto più si possono lasciar cadere queste maschere senza paura perché ognuno dei due sa che l’altro lo ama e può vedere anche i lati negativi.
In termini cristiani possiamo dire che i fidanzati vivono una specie di incarnazione, perché entrano nella storia dell’altro, assumono la sua vita e nello stesso tempo rivelano sé stessi all’altro. Si entra in punta di piedi nella vita dell’altro, non da spettatori, ma con la disponibilità a conoscere e a lasciarsi conoscere. È un’esperienza di esodo: esco da me stesso per entrare nel tuo mondo e lascio che tu entri nel mio.
È esperienza di solidarietà: non basta capire, bisogna accogliere l’altro per quello che è, nella sua diversità, perché non si sposano le cose che piacciono dell’altro, ma la persona intera. Dio ama l’umanità fatta di santi, peccatori, brontoloni, buoni e cattivi, fedeli e traditori; anche l’altro ha tutti questi volti. Scrive ancora Lewis: «Vedere in qualche misura come Dio. Il Suo amore e la Sua conoscenza non sono distinti l’uno dall’altra, né sono distinti da Lui. Potremmo quasi dire che Egli vede perché ama, e quindi ama benché veda» (p. 81).