Anno 135 - Aprile 2023Scopri di più
Il dono di una madre
suor Marzia Ceschia
All’Angelus del 23 dicembre 1973, riferendosi a Gianna Beretta Molla, papa Paolo VI così si esprimeva: «Pensiamo a una madre della Diocesi di Milano, che per dare la vita al suo bambino sacrifica, con meditata immolazione, la propria». Certamente il gesto di Gianna rimanda all’incondizionata, totale dedizione di tante madri che – pur di tutelare la vita dei loro figli – non hanno avuto alcun riguardo di se stesse, percependo nelle esistenze a loro affidate un dono più grande, un mistero e un compito.
In svariati modi si è consumata e si consuma l’offerta delle madri, di tante non conosceremo mai i gesti e neppure i nomi, ma i santi ne sono portavoce, riassumono in sé e restituiscono le infinite possibilità della carità vissuta nel mondo. Gianna Beretta Molla nasce a Magenta (Milano) il 4 ottobre del 1922, decima di tredici figli (cinque muoiono in tenera età e tre si consacrano a Dio). Cresciuta in una famiglia saldamente ancorata alla fede e alla fiducia nella Provvidenza, vive in particolare la Prima Comunione, a cinque anni e mezzo, come un momento forte che la forma a una costante frequenza all’Eucaristia.
La sua infanzia e giovinezza conoscono anche momenti difficili: tre dei suoi fratelli muoiono a causa dell’influenza spagnola, una sorella si ammala di tubercolosi (morirà nel 1937 a soli 27 anni) e la famiglia – alla ricerca di un luogo più salubre – si trasferisce da Milano, dove risiede fino al 1925, a Bergamo. Il padre di Gianna – terziario francescano, come la madre – lavora come impiegato in un cotonificio e con grandi sacrifici riesce a sostenere l’istruzione di tutti i suoi figli fino alla laurea. Gianna è una giovane vivace, dalla fede convinta, amante della pittura, del bello, della montagna.
Nel 1938, durante un corso di esercizi spirituali, scrive: «O Gesù ti prometto di sottomettermi a tutto ciò che permetterai mi accada, fammi solo conoscere la tua Volontà... ». Partecipa attivamente agli incontri dell’Azione Cattolica, anche come educatrice delle ragazzine più piccole. Nel 1942, anno della sua maturità al liceo classico, perde, a pochi mesi di distanza, entrambi i genitori e fa ritorno con i fratelli e le sorelle a Magenta, nella sua casa natale. Decide di iscriversi alla facoltà di Medicina prima a Milano e poi presso l’Università di Pavia, dove si laurea nel 1949. Nel 1950 apre un suo ambulatorio medico, prodigandosi soprattutto per mamme, bambini, anziani e poveri e nel 1952 si specializza in Pediatria a Milano.
Nel 1954 conosce l’ingegner Pietro Molla, anche lui molto attivo in Azione Cattolica, con il quale condivide l’amore e la fede. I due si sposano il 24 settembre 1955: è un matrimonio felice, allietato dalla nascita nel 1956 di Pierluigi, nel 1957 di Mariolina e nel 1959 di Laura. Nel settembre del 1961, mentre è quasi al termine del secondo mese della sua quarta gravidanza, le è diagnosticato un fibroma all’utero. Non ha alcuna esitazione nel decidere, di fronte alla prospettiva di un intervento chirurgico, nonostante i rischi, di salvare la vita che porta in grembo, affidandosi ancora alla Provvidenza di Dio.
Pochi giorni prima del parto, testimonia il marito, Gianna aveva risolutamente espresso la sua scelta: «Mi disse esplicitamente con tono fermo e al tempo stesso sereno, con uno sguardo profondo che non dimenticherò mai: “Se dovete decidere fra me e il bimbo, nessuna esitazione: scegliete – e lo esigo – il bimbo. Salvate lui”». Il 21 aprile 1962, con parto cesareo, dà alla luce Gianna Emanuela. Solo una settimana dopo, il 28 aprile, a 39 anni, muore. Beatificata da papa Giovanni Paolo II il 24 aprile 1994, è canonizzata dal medesimo pontefice il 16 maggio 2004.
La festa votiva è stata fissata il 28 aprile. Toccante è la testimonianza del marito riportata da Giuliana Pelucchi (cf. G. Pelucchi, L’amore più grande. Santa Gianna Beretta Molla, Paoline, Milano 2004, 15): «... La scelta di mia moglie è stata il risultato coerente di tutta una vita. Una scelta le cui radici vanno cercate sin dagli anni della sua infanzia.[…] La sua vita, sino al gesto finale che ha compiuto, è stata tutta un evolversi in questa linea di donazione. Gianna non si aspettava mai niente in cambio. Quello che ha fatto... non l’ha fatto per andare in Paradiso. L’ha fatto soprattutto perché si sentiva una mamma... ». Il risultato coerente di tutta una vita: quale definizione più concreta di santità?