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Il giusto fiorirà come una palma

Lorenzo Brunazzo

La domenica che precede la Pasqua è detta “domenica delle Palme” in ricordo delle fronde di palma e dei rami d’ulivo che la folla agitava accogliendo trionfalmente Gesù al suo ingresso in Gerusalemme esclamando: «Osanna al figlio di Davide! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!». La palma è l’albero del trionfo, della vittoria. Sin dalle epoche antiche questa pianta solare era considerata sacra per la bellezza e l’eleganza con cui si erge fino al cielo.

Nel Cantico dei cantici (7,8) l’amato dice all’amata: «La tua statura rassomiglia a una palma e i tuoi seni a grappoli». Salomone ornò le pareti del tempio con palme. E chi meglio di Maria può fregiarsi di questo attributo di bellezza? La palma, ho scritto nei Sermoni (Domenica III di Quaresima), ha la corteccia ruvida e aspra, ma in alto è bella a vedersi e carica di frutti. Così la Vergine Maria fu aspra e ruvida in questo mondo per la corteccia della povertà, ma è bella e gloriosa in cielo perché è regina degli angeli.

Le fronde di palma sono poi simbolo di risurrezione. Il nome greco, phoenix, ricorda la fenice, l’uccello leggendario che muore e risorge. Nei Salmi si dice che come fiorirà la palma, la quale produce un’infiorescenza quando sembra ormai morta, così farà il giusto. Nell’Apocalisse i servi di Dio, i risorti, tengono in mano rami di palma: da qui l’uso di raffigurare i cristiani morti per la loro fede, i martiri, con una fronda di quest’albero tra le braccia. Dalle cronache dei vostri tempi colgo due notizie che mi paiono, in modo diverso, significative.

In molte confezioni di dolci appare la scritta “Senza olio di palma” con cui i produttori intendono assecondare quanti ritengono tale ingrediente nocivo alla salute e all’ambiente. Greenpeace ha lanciato una petizione contro le grandi multinazionali che, nonostante le promesse di fermare entro il 2020 l’espansione delle piantagioni, continuano a distruggere ettari di foresta, habitat di animali unici, togliendole alle comunità locali per fare posto a colture estensive di palma da olio, coltivate con largo uso di pesticidi.

Dall’altra parte il mondo scientifico annuncia che la palma da dattero di Giudea, un’antica varietà scomparsa da mille anni, è stata fatta rivivere grazie ad alcuni semi vecchi di due millenni, trovati dagli archeologi in diversi scavi attorno al mar Morto. Sei piante hanno attecchito e si spera presto di poter fare fruttificare le femmine con il polline delle piante maschio. Questo mi porge il pretesto per tornare al particolare significato simbolico che ho ricordato nei miei Sermoni (Domenica IV dopo Pasqua): La palma femmina, scrive Plinio, non porta a maturazione i suoi frutti se non riceve, per mezzo del vento che lo trasporta, il caldo effluvio della palma maschio.

Allo stesso modo l’uomo non può fare progressi senza la grazia dello Spirito Santo. Quindi l’uomo che è privo della grazia non può servire Dio, è incapace di “generare” opere buone. Per questo, per meritare di ricevere lo Spirito Santo, rigettata ogni impurità dell’anima e del corpo e ogni manifestazione di malizia, con docilità, perché i miti erediteranno la terra, accogliete la parola seminata in voi. Parola che è data da Dio solo ai miti, ai docili, a coloro che praticano la mitezza delle colombe. Ti preghiamo dunque, Signore, che sei salito da questo mondo al Padre nella forma della nostra umanità, di trascinarci dietro di te con la fune del tuo amore.