Anno 136 - Maggio 2024Scopri di più

S. Antonio Italiano MAGGIO 2024_01
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Il vero amore

mons. Giampaolo Dianin, vescovo

Il percorso che abbiamo intrapreso, provocati dal dramma dei femminicidi, ci ha portato a considerare anzitutto la coppia come l’incontro di un “io” e di un “tu” distinti, superando l’immatura esperienza fusionale che appartiene all’esperienza dell’innamoramento. Abbiamo riconosciuto, successivamente, che il patriarcato è solo un aspetto del problema, ma le cause sono soprattutto altre. Infine, abbiamo distinto il naturale conflitto, presente in ogni relazione, dalla violenza che è il segno dell’incapacità di gestire i conflitti.

La violenza è la degenerazione dell’amore, ma prima di tutto è il segno di un amore profondamente immaturo che non è mai cresciuto fino a diventare “vero amore”. Ciascuno ama come può, con le sue potenzialità e i propri limiti; tuttavia possiamo riconoscere che c’è una verità oggettiva sull’amore che ha certamente i tratti di una meta da raggiungere, ma che dovrebbe essere chiara in chi intraprende questa strada per diventare con pazienza, ma anche con risolutezza, scelta del cuore e prassi dell’agire.

Il vero amore lascia essere l’altro e non lo imprigiona né a sé e nemmeno a un modello di relazione deciso da uno dei due. Il vero amore libera l’altro e feconda le sue potenzialità di vita. Il vero amore cerca il bene dell’altro e trova la propria gioia quando vede l’altro felice. L’amore, afferma Massimo Recalcati sulla scia di Jacques Lacan, è sempre “eterosessuale” in quanto è amore per l’eteros, per l’altro e per la sua differenza. L’altruismo, che dovrebbe custodire ogni relazione umana, è ingrediente indispensabile per dire che una relazione sia di amore. E se c’è una continua lotta tra egoismo e altruismo, la consapevolezza del virus tossico dell’egoismo dovrebbe essere chiara.

Gli adolescenti quando prendono una cotta inconsciamente dicono: «Ti amo perché con te sto bene, perché tu mi fai star bene». Ci sta quando si tratta di adolescenti inevitabilmente ancora concentrati su loro stessi. Ma amare è andare oltre la centralità dell’io e di quello che si prova per saper dire “tu”. A volte però l’adolescenza continua, si prolunga oltre l’età naturale e la persona fatica a uscire dal recinto dell’io; il proprio benessere diventa così una condizione dell’amore: «Tu devi continuare a farmi stare bene». Così l’amore diventa possesso, controllo, pretesa. Amare, invece, è volere il bene dell’altro, la sua felicità.

Più l’amore è grande, più è liberante. Amare significa accogliere le persone come un dono con la loro ricchezza e i loro limiti senza pretendere che siano ciò che non sono o che ci diano ciò che non vogliono o non possono darci. Chiara Giaccardi, riflettendo sui femminicidi, invita a porre l’attenzione su un aspetto culturale: «Alla radice dell’iceberg c’è il problema di un individualismo radicale dove l’altro è uno strumento per il mio benessere o si trasforma in un ostacolo da eliminare. Una relazione sana è invece una relazione nella quale l’io si sbilancia verso l’altro, si mette anche un po’ tra parentesi e si libera di sé stesso, crescendo e trasformandosi positivamente.

Chi invece è ossessionato dal proprio bene non solo non fa il bene dell’altro, ma non fa nemmeno il proprio». Fa eco a queste parole Alessandro Zaccuri che aggiunge: «L’amore non è una gara, non prevede vittorie di cui gloriarsi né trofei da esibire. L’amore non ha nulla a che fare col possesso. Dovremmo anche modificare il nostro linguaggio: “La mia ragazza” potrebbe diventare “la ragazza che mi ha scelto”; “mia figlia” potrebbe diventare “la figlia che mi è stata donata”».