Anno 135 - Marzo 2023Scopri di più
In - coscienza
Don Livio Tonello, direttore
Molte delle parole che usiamo portano in sé significati molteplici, a volte perfino contrari. Quelle composte si prestano anche a interpretazioni linguistiche plurime. Per esempio, il termine “incoscienza” denota mancanza di coscienza o di lucidità mentale, specialmente in relazione all’atteggiamento o al comportamento.
Ma se la scomponiamo – “in” e “coscienza” – il significato che emerge risulta positivo: “agire in coscienza” o secondo coscienza significa farlo con consapevolezza, con cognizione di causa, secondo convinzioni morali. In entrambi i casi è implicata la responsabilità verso sé stessi e verso altri. Ma nel primo è attenuata per una colpevole ingenuità o avventatezza; nel secondo caso, invece, viene affermata la volontà di agire in una modalità che corrisponde a ciò che realmente si pensa e si desidera.
La maturità personale esige di fare scelte che corrispondono al proprio sentire e alle indicazioni del proprio animo. La facoltà interiore che permette alla persona di valutare le scelte da intraprendere o già avvenute, considerandone gli esiti possibili, la chiamiamo “coscienza”. È l’ascolto di questa voce che spesso oggi manca.
Le azioni sono dettate più dal sentimento, dai luoghi comuni, dalla mentalità collettiva che non da convinzioni formate. È più facile ricercare il proprio interesse immediato che il bene comune. Quando le valutazioni sgorgano da un animo formato la volontà è guidata da una forza interiore capace di cogliere il bene. Normalmente gli incoscienti non pensano alle conseguenze. Capita ai giovani ai quali manca una sufficiente esperienza di vita o che non amano adeguarsi al gregge.
Altre volte è solo desiderio di trasgressione. Ma anche gli adulti si ritrovano a fare i conti con potenziali rischi quando la coscienza è labile, dubbiosa o erronea. Si agisce “in coscienza” a partire dallo spessore valoriale e morale acquisito negli anni dello sviluppo e attraverso le testimonianze di vita. Il rischio del soggettivismo è dietro l’angolo perché non ci sono altri punti di riferimento che se stessi. La coscienza ha bisogno di essere guidata e indirizzata per emettere un giudizio consapevole e buono.
Il tempo quaresimale ci chiede un “esame di coscienza” più approfondito per interrogarci non solo se scelte e azioni sono morali, ma anche quanto è avveduto e affinato il modo di discernere. È facile spostare l’asticella per giustificarsi ed evitare i sensi di colpa. Non basta alzare il livello tollerato delle polveri sottili per dire che l’aria è ancora salubre. Non è sufficiente depenalizzare la cannabis o peggio l’aborto per dire che sono leciti.
La differenza linguistica tra i termini incoscienza e in coscienza è breve, ma quanto diverse sono le conseguenze di una azione compiuta in modo insensato da una accorta e tendente al bene.