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La fastidiosa protesta delle galline

Elide Siviero

Non c’è più pace! È da stamattina che non ho più un attimo di silenzio: è in atto una vera protesta nel pollaio. Le tre galline vecchie, presenti ormai da qualche anno nel recinto di mia suocera, non accettano l’arrivo di un gruppetto di giovani polli, acquistati per integrare la presenza di pennuti nel pollaio. Le vecchie signore, mentre prima nemmeno si guardavano e si ignoravano beatamente, ora sono coalizzate; si mettono in gruppo davanti al cancello e protestano con un coccodè estenuante e assordante. Quello che prima era soltanto il grido di vittoria perché avevano fatto l’uovo, ora è diventato un brontolio costante.

C’è una vera sommossa per ribellarsi alle nuove presenze: i giovani polli, dal canto loro, sono talmente piccoli e appena usciti dallo stadio di pulcini, che non hanno il coraggio di proferire verbo. Se ne stanno rincantucciati in un angolino, hanno paura di tutto. Sono fermi nella parte che è stata loro assegnata. Le galline non accettano questa nuova presenza: la loro protesta si fa sempre più forte perché qualcuno si è intromesso nel loro pollaio. Ma la verità è che il pollaio non è loro, ma di mia suocera che decide quanti polli tenere, quante galline avere e dove metterle. Visto il baccano costante, lo strepitio che infuriava, soprattutto quando le tre galline mi vedevano passare, ho provato a usare una strategia francescana e mi sono messa a parlare alle galline.

Francamente ho sperato che nessuno mi sentisse, perché un po’ mi vergognavo a conversare con delle galline, ma incredibilmente la cosa ha funzionato. Prima le ho rimproverate, intimando loro di fare silenzio; poi le ho rincuorate, dicendo che non c’era nulla da temere; infine, quando si sono zittite, le ho incoraggiate: le galline si sono tranquillizzate, la pace è ritornata. Sono strabiliata. Questi animali non sono così stupidi, come si dice. Dopo che è tornata la quiete, ho visto i giovani polli mettersi in movimento, prendere confidenza con il loro spazio e imparare a esistere di fronte alle tre megere che brontolavano con fare acido. Le galline hanno saputo adattarsi ai nuovi arrivati, e invece noi essere umani spesso non sappiamo accogliere l’altro. Lo vediamo come un intruso, un approfittatore: marchiamo il territorio, convinti che sia nostro.

Siamo spesso come delle galline impaurite che protestano, inconsapevoli del comune destino: siamo solo di passaggio in questo pollaio. Ma soprattutto, come cristiani, dobbiamo obbedire al nostro Signore che proprio dell’accoglienza ha fatto un suo criterio di giudizio: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto... Allora i giusti gli risponderanno: “Signore… quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”» (cfr. Mt 25,31-40). Ben più di un consimile accogliamo! Il Signore stesso è nascosto in ogni persona. Mi ritorna in mente quello che diceva sant’Agostino: «Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l’abbiamo sempre con noi. Aiuta, dunque, il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere» (dai «Trattati su Giovanni»).