Anno 136 - Gennaio 2024Scopri di più
La pace, virtù “giocosa”
suor Anna Maria Borghi
Le virtù «vesti molto belle perché intessute con la mano e l’arte della Sapienza» del Padre: di esse vorremmo occuparci nel percorso di questo anno alla scuola di sant’Antonio. Di virtù e vizi, che al contrario «spogliano dei beni spirituali». Il primo abito, di cui necessitiamo sempre, particolarmente all’inizio di questo nuovo anno, è quello della pace. Per Antonio infatti anche la pace è una virtù, rappresentata – per l’etimologia del nome – da Salome, una delle tre donne che vanno al sepolcro per ungere di aromi il maestro: «Maria Maddalena, Maria di Giacomo e Salome […] In queste tre donne sono indicate tre virtù della nostra anima, e cioè l’umiltà della mente, il disprezzo del mondo, la giocondità della pace. […] in Salome, che vuol dire “pacifica”, madre di Giacomo e di Giovanni l’evangelista, è raffigurata la giocondità della pace». Piuttosto originale questo profilo “giocoso” della pace!
Ordinariamente credo che ci venga più immediato pensare alla pace come a un processo arduo, impegnativo, che richiede un’operosità faticosa, più vicino alla laboriosità che alla giocondità. Possiamo immaginare che lo stesso Antonio avesse ben presente l’impegno serio che essa comporta. Come non ricordare che fu lui, nel 1221, a Padova con la sua predicazione quaresimale a portare pace dentro una città bellicosa, divisa, dalle tante ingiustizie! Eppure sembra come suggerirci che ci sia qualcosa anche del gioco che appartiene alla costruzione della pace. Nel gioco abbiamo innanzitutto la possibilità di “abitare spazi” che la realtà non conosce, abbiamo come la possibilità di sognare altro, di sperimentare ruoli e compiti che non ci appartengono... come quando da piccoli giocavamo a “guardia e ladri”! Il gioco – anche quello degli adulti – in effetti è spesso come una “escursione protetta” e divertente, oltre le nostre abituali “zone di conforto”.
Indossare la “veste della pace” potrebbe richiedere la medesima creatività, che consente di compiere passi nella direzione di ciò che ancora non si vede se non come desiderio, o addirittura come sogno; indossare la “veste della pace” potrebbe sostenere l’azzardo di mettersi nei panni dell’altro per ascoltarne le istanze e guardare la realtà dal suo punto di vista. Il gioco inoltre a un certo punto finisce: tutte le “guardie” e tutti i “ladri” si ritrovavano semplicemente amici! Così il “gioco” che permette di costruire la pace non può dimenticare che l’altro, che ora mi appare nemico, mi è fratello in umanità, e tale rimane: nessuna distanza, neppure nessuna ostilità può permettersi di spogliare alcuno della propria dignità!
E da ultimo se il gioco diverte, anche la pace potrebbe avere una sua giocondità, cioè una sua “gioia” in virtù dell’etimologia che condivide: giocando anche noi un pochino con il contesto dal quale abbiamo tratto la suggestione di Antonio, possiamo pensare che la gioia tipica della pace sia come la intima e sorprendente letizia sperimentata dalle donne al sepolcro. Esse saranno raggiunte dal Risorto e dal suo stesso dono: «Pace a voi!», saluto di Colui che ha “giocato” a dare la vita fino alla fine e che anche “oltre la fine” sembra non trovare altro “divertimento” se non quello di ritessere vitali legami di prossimità! All’inizio di questo anno chiediamo alla Sapienza del Signore, anche grazie all’intercessione di sant’Antonio, l’audacia di perseguire rinnovati sentieri di pace, per scoprirci rivestiti della Sua stessa bellezza e leggerezza!