Anno 132 - Aprile 2020Scopri di più
La risposta di Pirandello
Roberto Filippetti
«Ora intendo e sento veramente la parola di Cristo: Carità! Perché gli uomini non possono star tutti e sempre in piedi, Dio stesso vuol in terra la sua Casa, che prometta la vera vita di là; la sua Santa Casa, dove tutti gli stanchi e i miseri e i deboli si possano inginocchiare, e tutti i dolori e tutte le superbie inginocchiare! Ecco, Monsignore, così, davanti a Lei, ora mi sento degno di nuovo di rindossar l’abito per il divino sacrificio di Cristo»: può sorprendere che queste parole siano il cuore di un dramma di Pirandello, il Lazzaro, del 1928.
Le pronuncia don Lucio, che il padre – il bigotto Diego Spina – ha costretto a farsi prete. Il giovane sacerdote, dopo essere andato in crisi e aver abbandonato l’abito, ritrova la fede, con una serie di conseguenze positive sul padre, sulla madre Sara, sulla sorella Lia. A Carlo Cavicchioli che lo intervistava, Pirandello due mesi prima di morire, ha confessato: «Nel Lazzaro do la risposta più netta al dissidio fondamentale del mio teatro: Cristo è carità, amore. Solo dall’amore che comprende, e sa tenere il giusto mezzo fra ordine e anarchia, fra forma e vita, è risolto il conflitto». Poi conclude: «Sono anche lieto che nessuna autorità religiosa abbia trovato da condannare. Della mia opera nulla è all’indice.
La “Civiltà cattolica” ne ha parlato a fondo, in tre articoli che formano addirittura un volume, e conviene della sua perfetta ortodossia... Perfetta ortodossia in quanto posizione di problemi. E tali problemi non comportano che una soluzione cristiana». I problemi, anzi “il” problema della vita, così come l’aveva formulato nel ’600 il matematico e filosofo cristiano Blaise Pascal, tanto caro a Pirandello da entrare nel titolo del più famoso romanzo: Il fu Mattia Pascal. Con la rivoluzione copernicana l’uomo ha perso la propria centralità nell’universo. La scienza moderna – da Newton ad Einstein – ha poi allargato a dismisura il cosmo e rimpicciolito l’uomo fino a fargli provare un gran senso di vertigine quando si sporge sull’abisso del cielo.
Ma proprio grazie a Blaise Pascal l’uomo ha ricompreso la propria grandezza di creatura capace di pensare l’infinito. Pirandello lo cita esplicitamente nelle Novelle. In Sopra e sotto il vecchio professor Sabato si riconosce «piccolo... piccolo»; egli rimira le stelle, e subito sente «la nostra infinita, inferma piccolezza inabissarsi». Gli replica il Lamella: «Ma dentro di me dev’esserci per forza, capite? qualcosa di quest’infinito, se no io non l’intenderei, come non l’intende... che so? questa mia scarpa, putacaso, o il mio cappello. Qualcosa che, se io affiso... così... gli occhi alle stelle, ecco, s’apre». L’uomo ha in sé un desiderio infinito, le cose no! Egli ne prende coscienza quando fissa lo sguardo sulle stelle: la realtà piena di ordine e bellezza.
Nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore, questi è un cameraman. La sua macchina da presa coglie le apparenze, ma lui sa che «c’è un oltre in tutto»; mentre la gente corre freneticamente, lui cerca «quella certezza vera, nella quale solamente potrebbe trovar riposo»; tutti si divertono per non pensare, ma lui è reso inquieto da un «quid» che urge in profondità: «C’è una molestia, però, che non passa. La sentite? Un calabrone che ronza sempre, cupo, fosco, brusco, sotto sotto, sempre». Questo pungolo è come «una malattia inestirpabilmente radicata nel più profondo del mio essere». La terra basta alle «necessità» delle bestie, ma all’uomo no: egli ha in sé un «superfluo che lo tormenta»: un’essenza che va oltre la sfera della necessità, e che lo spalanca sull’Eterno. Questo misterioso «quid» che dimora nel cuore umano – conclude Pirandello – è segno che rimanda a «un’altra vita oltre la terrena» e ne «prova» l’esistenza.
L’Agrigentino ha posto il grande «problema» nei termini propri dell’antropologia cristiana; ha anche suggerito l’unica possibile soluzione, sebbene alla fede non abbia saputo personalmente aderire. In questo mese di aprile festeggiamo la Pasqua di Resurrezione. La riflessione che sta al fondo dell’opera di Pirandello ci porta fin sulla soglia.