Anno 135 - Febbraio 2023Scopri di più
La schiava divenuta santa
suor Marzia Ceschia
Nella ricorrenza di una delle giornate internazionali di preghiera e riflessione contro la piaga della tratta, papa Francesco rivolgeva un’accorata invocazione a una donna straordinaria, la cui esperienza e il cui carisma non possono non interpellarci, chiederci di prendere davvero posizione sulle diverse forme di schiavitù purtroppo ancora tanto praticate nel nostro tempo: «Santa Giuseppina Bakhita, da bambina sei stata venduta come schiava e hai dovuto affrontare difficoltà e sofferenze indicibili.
Una volta liberata dalla tua schiavitù fisica, hai trovato la vera redenzione nell’incontro con Cristo e la sua Chiesa. Santa Giuseppina Bakhita, aiuta tutti quelli che sono intrappolati nella schiavitù. A nome loro, intercedi presso il Dio della misericordia, in modo che le catene della loro prigionia possano essere spezzate. Porta sollievo a coloro che sopravvivono a questa schiavitù e insegna loro a vedere Gesù come modello di fede e speranza, così che possano guarire le proprie ferite. (...) Santa Giuseppina Bakhita, prega per noi».
Chi era Bakhita? Il suo nome significa “fortunata” e pare quasi una contraddizione rispetto a un’esistenza segnata dalle più crude sofferenze. Era nata in Sudan nel 1869 e viveva con la sua famiglia – i genitori, tre fratelli e tre sorelle – in un villaggio del Darfur. È ancora bambina quando viene brutalmente minacciata e rapita da due arabi e immessa nel mercato degli schiavi. Tenta la fuga, ma è venduta e rivenduta più volte a diverse famiglie, passando per ogni sorta di sofferenze.
A Kartoum la acquista un generale turco: in questa famiglia è maltrattata fino a essere fisicamente marchiata. Le vengono praticate sei incisioni sul petto, sessanta sul ventre, quarantotto in tutto il corpo, tanto da essere vicina alla morte. Nel 1882 è comprata da un console italiano, Calisto Legnani, intenzionato a ridarle la libertà. Per varie circostanze Legnani la affida alla famiglia di Augusto Michieli, un diplomatico suo amico, che la conduce nella sua casa di Zianigo, una frazione di Mirano (VE), come bambinaia della figlioletta Mimmina-Alice, che le si affeziona moltissimo.
Dopo tre anni, per motivi di lavoro, Michieli con la moglie si trasferisce in Africa e lascia Bakhita con la bambina presso l’Istituto dei Catecumeni di Venezia, diretto dalle Suore Canossiane. È qui che il significato del nome “Bakhita” fiorisce, come esito di un itinerario tanto duro quanto misterioso: la schiava incontra la fede cristiana, la libertà le si impone come una vocazione. Il 9 gennaio 1890 chiede il battesimo e riceve i nomi di Giuseppina, Margherita e Fortunata.
La signora Michieli era tornata in Italia per ricondurre con sé in Africa la figlioletta e, dinanzi alla volontà di Bakhita di restare a Venezia, aveva cercato addirittura di far intervenire il Procuratore del re e il Cardinale Patriarca di Venezia Agostini che le aveva ricordato come in Italia la schiavitù non fosse legittimata. Bakhita sente il desiderio di intraprendere la vita religiosa: il 7 dicembre 1893 è novizia, l’8 dicembre 1896 è suora canossiana. Nel 1920 è trasferita nel convento di Schio (VI), svolgendo prima il servizio di cuoca, poi di sacrestana e di portinaia.
La “Madre Moretta” (così viene chiamata per il colore della sua carnagione) entra ben presto nel cuore della gente, per la sua bontà, la sua carità specie nei confronti dei sofferenti, per l’umiltà. Durante il secondo conflitto mondiale rifiuta di andare nel rifugio durante i bombardamenti: gli abitanti di Schio sono convinti che proprio grazie a lei la loro città sarà risparmiata, come in effetti accade. Negli ultimi anni della sua vita la sua salute è estremamente provata, certo anche in conseguenza alle tante privazioni subite nel tempo della schiavitù: soffre di artrite e di malattie polmonari, ma resta fedele alla preghiera, trascorre il tempo in adorazione, intercedendo e offrendo per la Chiesa, per il papa, per i peccatori. Muore l’8 febbraio 1947.
È beatificata da papa Giovanni Paolo II il 17 maggio 1992 e dallo stesso papa canonizzata il 1° ottobre 2000. Bakhita-Fortunata per aver saputo leggere nelle trame più oscure della vita un piano provvidenziale ha vissuto concretamente il paolino «tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio» (Rom 8,28), tanto che diceva con sconcertante gratitudine: «Se incontrassi quei negrieri che mi hanno rapita, e anche quelli che mi hanno torturata, mi inginocchierei a baciare loro le mani; perché, se non fosse accaduto ciò, non sarei ora cristiana e religiosa».