Anno 135 - Settembre 2023Scopri di più
L’amore non vive di parole
suor Marzia Ceschia
Premio Nobel per la Pace nel 1979, proclamata beata da papa Giovanni Paolo II il 19 ottobre 2003, Madre Teresa di Calcutta è stata canonizzata da papa Francesco il 4 settembre 2016. La sua memoria liturgica ricorre il 5 settembre. Al secolo Anjeze Bojaxhiu nasce il 26 agosto 1910 a Skopje, territorio albanese, allora sotto il dominio turco. I genitori sono kosovari benestanti: il padre Kolë (1873-1918), uomo colto, che conosceva più lingue (albanese, serbo-croato, turco, italiano, francese), muore improvvisamente nel 1918. La madre Drane (1889-1972), di origini nobili, è donna di grande fede e carità. Rimasta vedova, si trova sola, in una difficile situazione economica, a provvedere a tre bambini.
Tuttavia è molto attenta alla loro educazione e trasmette una solida fede cristiana. Gonxhe – così era chiamata – è una ragazza molto intelligente e studiosa, frequenta attivamente la parrocchia. Crescendo si sente sempre più orientata alla vita religiosa, guidata anche dal suo padre spirituale gesuita, P. Franjo Jambreković, sentendosi chiamata a «divenire missionaria e spendermi per Gesù che è morto per tutti». Nel settembre 1928 parte per l’Irlanda, per entrare tra le Suore di Loreto che avevano missioni in India. Certo tra i suoi riferimenti è S. Teresa di Gesù Bambino che nel 1925 era stata proclamata patrona delle missioni. Il 1° dicembre 1928, assumendo il nome di sr. Maria Teresa del Piccolo Gesù, Gonxhe parte alla volta dell’India. Nel 1929 fa la vestizione, nel 1931 emette i voti temporanei.
A Calcutta prosegue gli studi universitari e insegna alle ragazze delle caste superiori, all’Istituto St. Mary e all’Istituto S. Teresa, per raggiungere il quale doveva ogni giorno fare un tratto in risciò, occasione per rendersi conto da vicino delle situazioni di estrema miseria a Calcutta. Nel 1944 è direttrice del St. Mary. Nel 1942 aveva, col permesso del confessore, fatto ufficialmente un voto a Dio: «darGli qualunque cosa Egli possa chiedermi». Il 10 luglio 1946 mentre viaggia sul treno che la porta a Darjeeling per gli annuali esercizi spirituali sente una voce, quella che lei stessa definisce “una chiamata nella chiamata”. Seguono dieci mesi di locuzioni e visioni interiori: Gesù le chiede di fondare una comunità religiosa dedita al servizio dei più poveri tra i poveri, per saziare la Sua sete di amore e di anime. La realizzazione non è immediata, ma conosce il travaglio dell’attesa e il vaglio della vocazione. Solo nel 1948 ottiene da Pio XII il permesso di avviare il progetto.
Ricevuto l’indulto di esclaustrazione, Madre Teresa lascia il 16 agosto l’Istituto delle Suore di Loreto. Segue alcune lezioni di pronto soccorso presso le Suore Mediche Missionarie a Patna e torna, nel dicembre 1948, a Calcutta. Gradatamente inizia la sua attività presso i sobborghi, visitando i poveri e gli ammalati, avviando scuole, non senza incontrare difficoltà, tuttavia arrivano copiose le vocazioni. Il 7 ottobre 1950 la nuova Congregazione delle Missionarie della Carità è eretta ufficialmente come Istituto Religioso dell’Arcidiocesi di Calcutta. Il 22 agosto 1952, festa del Cuore Immacolato di Maria, patrona delle Missionarie della Carità, Madre Teresa apre la sua prima casa per moribondi, chiamandola Nirmal Hriday “Cuore Puro” (in lingua bengalese). Il prosieguo e la fioritura della sua opera caritativa è nota in tutto il mondo.
Nulla della sua azione missionaria si comprenderebbe al di fuori della sua profonda fede e vita di contemplazione e preghiera. La radice del suo servizio ai poveri è la sequela di Gesù Cristo in povertà, umiltà, obbedienza. È alla sete di Lui che risponde chinandosi sugli “scarti” dell’umanità. Potremmo spingerci ad affermare che, insieme alla Scrittura e all’adorazione, è “il povero” il libro di teologia su cui si forma Madre Teresa e su cui vuole si formino le sue missionarie. Occorre però avere il coraggio di entrare nel deserto, di sperimentare l’abbandono e la desolazione degli ultimi. Ma dove potrebbe subentrare il non senso, la disperazione, è Cristo Crocifisso la chiave di lettura, la Sua consegna totale.
Almeno due motivi di meditazione possiamo raccogliere per noi. Il primo si associa a una domanda: quanto guardiamo ai poveri a distanza e quanto conosciamo il loro punto di vista, il loro sentire, il loro concreto vissuto? Il secondo ci sollecita a ripensare frequentemente il legame inscindibile tra contemplazione e carità: l’una alimenta e verifica l’altra. Anche la Croce è allora spazio per dire che sempre è possibile l’amore.