Anno 130 - Dicembre 2018Scopri di più
Le virtù adornano il giusto
fr. Luciano Bertazzo
Incamminiamoci con il pavone a Betlemme a incontrare «il primo albero piantato nel grembo della Vergine Maria»
Avremmo voluto chiudere il numero di dicembre con un sapore natalizio, ma abbiamo già avuto modo di presentare precedentemente tutti quegli animali che fanno corona a Gesù Bambino nel presepio: dal bue all’asino, alle pecore.
Chiudiamo, comunque, quest’anno in bellezza la presentazione degli animali da lui citati come esempio di vizi o virtù umane presentando il pavone. Quale animale più di questo ci parla di bellezza!
Che sia bello, bisogna dirlo, è bello: solenne, fino a essere anche troppo impettito: il roteare del piumaggio della coda nel maschio è veramente impressionante. Un uccello originario dall’Oriente, noto anche tra i Romani che ne apprezzavano la bellezza (e la carne!), ma ancora presente negli spazi adeguati anche oggi, ammirato per la sua avvenenza, un po’ meno, credo, per i lancinanti stridii che lancia e che molti interpretano come segno di imminente cambiamento meteorologico.
Ma il bello è sempre anche buono? Non sembrerebbe, almeno stando alle nostre categorie interpretative. Il verbo pavoneggiare deriva proprio dal modo con cui questo uccello galliforme si esibisce nella fase del corteggiamento. Di questo atteggiamento ci è rimasto anche il verbo riflessivo “pavoneggiarsi”: un atteggiarsi a vanitosa esibizione, simbolo di superbia come è interpretabile nella caratteristica ruota della coda e per l’impettita andatura, segno di un narcisistico compiacimento.
Anche frate Antonio lo conosce e per due volte ne fa riferimento. Citando il versetto del Libro dei Re in cui si racconta che «la flotta del re Salomone solcava il mare verso Tarsis, portando da lì oro, argento, denti di elefante, scimmie e pavoni» (1Re 10,22), Antonio offre la sua interpretazione: «Nell’oro è simboleggiata la sapienza umana, nell’argento il linguaggio filosofico, nei denti degli elefanti i dottori coraggiosi che masticano il cibo della parola per i piccoli, nelle scimmie coloro che imitano le azioni umane, ma poi vivono come le bestie [...], nei pavoni, la cui carne se viene seccata, diventa incorruttibile – almeno così dicono – e che sono coperti di penne meravigliose, sono raffigurati i perfetti, purificati dal fuoco delle tribolazioni e quindi adorni di grande varietà di virtù» (Quinta domenica dopo Pentecoste).
Continuando nell’interpretazione scrive: «Nei pavoni è indicato il disprezzo, il rifiuto della gloria temporale. C’è da osservare che il pavone perde le penne quando gli alberi incominciano a perdere le foglie. Dopo gli rispuntano le piume quando gli alberi ricominciano a mettere le foglie».
Una caratteristica che legge in chiave cristologica: «Il primo albero fu Cristo, piantato nel giardino delle delizie, vale a dire nel grembo della beata Vergine. Le foglie di quest’albero sono le sue parole: quando il predicatore le sparge con la predicazione e il peccatore le accoglie, quest’ultimo perde le penne, cioè abbandona e disprezza le ricchezze. Poi nella resurrezione finale, quando tutti gli alberi, cioè tutti i santi, ricominceranno a sbocciare e verdeggiare, allora colui che ha rifiutato le penne delle cose temporali riceverà le piume dell’immortalità».
Capiamo allora cosa c’entra il pavone: «come nelle penne di questo sta la sua bellezza e nelle sue zampe la bruttezza, che sminuisce la sua bellezza, così i penitenti rigettano la gloria di questo mondo, ripensando alla propria abiezione e alla propria corruzione» (ivi). Il pavone simbolo del narcisista? Tutt’altro per frate Antonio... basti capirsi!
Accogliamo allora anche questo animale, venga con noi a Betlemme a incontrare «il primo albero piantato nel grembo della Vergine Maria». E sia bello e buono il Natale che anche quest’anno possiamo celebrare.