Anno 135 - Gennaio 2023Scopri di più
Lo sguardo della Madonna Mora
Alfredo Pescante
È l’icona mariana della Basilica di Sant’Antonio più ammirata da fedeli e visitatori perché condensa i titoli della Vergine cari al Taumaturgo. Il di più di questa antica statua in pietra colombina dipinta (1396), opera del francese Rinaldino di Puy-L’Eveque, è offerto: dalla constatazione che fino a pochi anni fa l’incarnato della Vergine e del Bimbo appariva di color nero; dalla collocazione nella chiesa ove il Santo celebrò Messa, pregò, assolse i penitenti, predicò e volle essere sepolto; la si può ammirare da vicino, cogliendone la bellezza, le ricche e dorate vesti rosa e azzurro, le brillanti scarpette a punta, la corona e lo scettro in rame dorato; la si può pregare, confortati dal dolce suo sguardo.
Il pomeriggio antecedente la stesura di queste note abbiam rivisitata l’aula ove questa preziosità è esposta: la cappella della Madonna Mora, dal 1229 chiamata “Sancta Maria Mater Domini”, cioè “Santa Maria Madre del Signore”. E come sempre, benché lo sguardo posi sul suo viso, mai ci accorgemmo a chi sorridesse! Mentre Gesù, benedicendolo, fissa gli occhi sul fedele che s’inginocchia, la Vergine mostra lieta il Redentore e saluta chi sta varcando l’arco d’uscita dalla cappella, quasi invitandolo a ritornare.
Ricca di storia è la statua, commissionata dal macellaio padovano Bartolomeo per conto della Confraternita di Sant’Antonio. Basti pensare ai restauri nel tempo e ai titoli di cui s’arricchì: Madonna Nigra, Madonna Mora, Madonna di Loreto (1776), Madonna degli Angeli (1853). La cappella ebbe trasformazioni e l’attuale risale al 1852, quando venne dipinta la volta a stelle dorate su fondo blu. Il tabernacolo gotico che la contiene, già a inizio ’300, accolse affreschi di Giotto. Il restauro eseguito nel 2010 ha spalancato novità impensabili: la statua nei suoi colori originari è di una bellezza incredibile.
I volti di Maria e di Gesù tanto tempo fa apparivano di color scuro, ma questo non era dovuto ai fumi di candele, bensì a tinte impiegate per annerirli, in accordo col Cantico dei Cantici: “Nigra sum sed formosa” (Nera sono ma bella). Il nero applicato sul viso delle statue lignee, specie nel periodo post-medievale, era adoperato per coprire la radiosità accecante del Divino.