Anno 134 - Settembre 2022Scopri di più
Madre, sorella e compagna
suor Marzia Ceschia
Nel mese di settembre il calendario liturgico ci propone tre significative celebrazioni legate alla Madre di Dio: l’8 settembre la festa della natività di Maria, il 12 settembre la memoria del nome di Maria e il 15 settembre la memoria della beata Vergine Addolorata. Un piccolo itinerario mariano che, toccando momenti particolari dell’esistenza della Madre di Dio, ci aiuta a sentirla davvero sorella e compagna di cammino.
La festa della natività della vergine, celebrata nella Chiesa d’Oriente e d’Occidente, rinvia all’apocrifo Protoevangelo di Giacomo secondo il quale Maria sarebbe nata da Gioacchino e Anna a Gerusalemme. Nel luogo dove, secondo la tradizione, sarebbe sorta la loro casa, nel IV secolo fu edificata la basilica di S. Anna. Come ogni dimensione mariana, anche la natività va letta in relazione all’incarnazione del Verbo.
Significative sono a riguardo le parole dell’orazione dopo la Comunione nella Messa del giorno, nella quale Maria è definita «speranza e aurora di salvezza al mondo intero». Tutto in Maria tende a Lui e la stessa liturgia ci propone infatti la lettura della genealogia matteana di Gesù Cristo, Figlio di Davide, figlio di Abramo (cf. Mt 1,1-16.18-23). La nascita della creatura umana chiamata a essere la Madre di Dio prepara il manifestarsi concreto – in Gesù – dell’opera salvifica di Dio. Seppure la condizione della Vergine sia del tutto unica, possiamo pensare che in ogni essere umano che viene al mondo ci è mostrato qualcosa di Dio, qualcosa che ci suggerisce che nessuna vita è per sé sola.
In Maria questo accade mirabilmente e singolarmente, in maniera perfetta e irripetibile. Suggestiva è l’immagine che utilizza Giacomo di Sarug (449-521), il quale dice di Maria che ella è «la lettera del Verbo»: «…Donò il suo corpo puro come carta pulita e in essa il Verbo scrisse la sua essenza corporalmente. Il figlio è il Verbo, e lei, come abbiamo detto, è la lettera grazie alla quale al mondo intero fu inviata la remissione». Maria è così vicina che possiamo in ogni momento chiamarla per nome, possiamo invocarla. Nel 1513 il pontefice Giulio II aveva concesso a una diocesi spagnola la facoltà di celebrare una festa in onore del nome di maria.
Papa Pio V la soppresse, mentre Sisto V la ripristinò. In particolare dopo la vittoria (1673) riportata nel nome di Maria contro i Turchi da Giovanni Sobieski, re di Polonia, Papa Innocenzo XI il 12 settembre 1683 volle estendere la celebrazione in tutta la Chiesa nella domenica fra l’Ottava della Natività. Papa Pio X la ricollocò infine al 12 settembre. Il martirologio romano specifica che «in questo giorno si rievoca l’ineffabile amore della Madre di Dio verso il suo santissimo Figlio ed è proposta ai fedeli la figura della Madre del Redentore perché sia devotamente invocata». Il nome dice la concretezza della persona: rivolgersi alla Madre chiamandola per nome ci colloca in una posizione di intimità, di confidenza. E questa libertà di “chiamare per nome” una presenza materna è preziosa e consolante nel tempo del dolore.
La liturgia, il giorno seguente alla festa della esaltazione della Croce, ci accompagna a contemplare la madre Addolorata, la cui memoria fu introdotta nel calendario romano da papa Pio VII nel 1814. Presso la croce Maria sta (cf. Gv 19,25), rimane accanto al Figlio e a ogni figlio. È Gesù stesso a consegnarci a lei e a invitarci a prenderla con noi, come «il discepolo che egli amava». Prendere con noi la Madre significa entrare nell’abbraccio del suo sguardo di fede e di compassione, nella sua fiducia in Dio che ama e custodisce la vita anche nella Passione e nelle nostre passioni, nella profonda consapevolezza che «di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono» (Lc 1,50).
«Sulla croce, quando Cristo soffriva nella sua carne il drammatico incontro tra il peccato del mondo e la misericordia divina», medita papa Francesco nell’Evangelii Gaudium, «poté vedere ai suoi piedi la presenza consolante della Madre e dell’amico. In quel momento cruciale, prima di dichiarare compiuta l’opera che il Padre gli aveva affidato, Gesù disse a Maria: “Donna, ecco tuo figlio!”. Poi disse all’amico amato: “Ecco tua madre!” (Gv 19,26-27). Queste parole di Gesù sulla soglia della morte non esprimono in primo luogo una preoccupazione compassionevole verso sua madre, ma sono piuttosto una formula di rivelazione che manifesta il mistero di una speciale missione salvifica. Gesù ci lasciava sua madre come madre nostra.
Solo dopo aver fatto questo, Gesù ha potuto sentire che “tutto era compiuto” (Gv 19,28). Ai piedi della croce, nell’ora suprema della nuova creazione, Cristo ci conduce a Maria. Ci conduce a Lei perché non vuole che camminiamo senza una madre» (EG 285).