Anno 132 - Maggio 2020Scopri di più
Obbedienza Reciproco ascolto
fr. Antonio Ramina
Sant’Antonio conosceva molto bene il latino, inutile dirlo. Basti semplicemente pensare ai suoi Sermoni, scritti appunto in lingua latina. Era in grado di “scavare” nel cuore delle parole “antiche” e scoprirne i molti significati possibili. A proposito di “obbedienza”, scrive così: «Nel capo, vale a dire nella mente, passa velocemente la voce dell’obbedienza e quindi è detto: “All’udirmi, subito mi obbedì” (Sal 17,45). E Samuele, nel primo libro dei Re, dice: “Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta” (1Re 3,10).
E affinché l’obbedienza penetri più velocemente è necessario che sia aerea, pura, sensibile alle cose celesti, niente ritenendo della terra. “Sia dunque ogni uomo pronto ad ascoltare”» (IV dopo Pasqua 14). Anche da questa sola citazione, densissima di richiami biblici, emerge con chiarezza il forte e insistente legame tra “obbedienza” e “ascolto”. Obbedire è ascoltare. Obbedire: ob-audire, rendere più acuta la nostra capacità di udire, renderci più consapevoli.
La persona obbediente, innanzitutto, è dunque una persona capace di ascolto. A noi la parola “obbedienza” fa venire subito in mente sottomissione, costrizione; insomma: ci infastidisce un po’ e ci ricorda un atteggiamento poco simpatico, contrario alla nostra sensibilità. Amiamo di più muoverci “spontaneamente” sulla base di ciò che “sentiamo”. Il nostro Santo, invece, aveva potuto sperimentare sulla sua pelle che, se si vuol vivere seriamente, davvero all’altezza della nostra dignità di persone e di cristiani, è davvero importante mettersi in ascolto.
Questa è la prima e fondamentale forma di obbedienza. In ascolto di che cosa? Innanzitutto della realtà, di ciò che ci accade. Di ciò che ci capita personalmente e di ciò che succede nel mondo. Sant’Antonio, piantato con i piedi per terra com’era, aveva imparato che ascoltare la voce di Dio e obbedirgli significava non solo cercare il Signore nella Bibbia, ma anche e, forse prima di tutto, udire la voce sottile di Dio in ciò che ci accade. Proprio così: la realtà che ci sta attorno può essere parola di Dio che ci viene incontro, parola da ascoltare e a cui obbedire.
Se dovessimo elencare le forme di obbedienza raccomandate da sant’Antonio, dovremmo scrivere pagine e pagine, perché si tratta di una “virtù” a cui il nostro Santo teneva moltissimo. Era profondamente convinto dell’importanza di non fare di testa propria, di fidarsi degli altri e ascoltarli. Chiede di imparare a obbedire non solo ai “superiori”, ma anche alle persone che ci sono “uguali”, alla pari; e perfino a coloro che, per qualche ragione, sono a noi “sottoposti”. Parla infatti di una «triplice obbedienza, quella prestata ai superiori, agli uguali e agli inferiori» (II dopo Ottava dell’Epifania 6).
È dunque ribadita l’importanza di obbedirsi a vicenda: ecco il punto! Obbedirsi, in tal senso, sembra quasi essere una sorta di “garanzia” in più, che ci assicura d’aver fatto il meglio che sia possibile. Chissà cosa direbbe sant’Antonio a proposito del tempo segnato dal coronavirus! Credo che ci avrebbe detto senz’altro di obbedire al Signore ascoltando le indicazioni di coloro che ci guidano e che fanno del loro meglio per prendersi cura di noi. Di obbedire al Signore imparando a celebrare il suo amore in modi nuovi e diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati: pregare insieme attorno alla Parola di Dio, spezzare insieme il pane del perdono, venirci incontro nelle nostre impazienze e nervosismi in questo tempo di abitazione costretta dentro le nostre case. C’è una brevissima frase di sant’Antonio che mi colpisce molto: «Il fiore è la speranza del frutto» (Annunciazione II 10).
Forse il Santo ci direbbe che, per obbedire al Signore in questo tempo di tristezza e di comprensibili paure, potremmo tentare di sperare guardando ai “fiori” della solidarietà che spuntano nelle mani di tante persone che si dedicano ai malati: obbedire a loro significa impegnarci, anche noi, per far maturare il “frutto” di una maggiore responsabilità e reciproco accudimento.