Anno 134 - Ottobre 2022Scopri di più
Ogni giorno un passo in avanti
Gabriele Pedrina
Lo devo ammettere: soffro di vertigini. Non tantissimo, ma un pochino sì. Può sembrare strano per uno che negli anni si è girato tutte le Dolomiti dai 3000 metri in su, ha affrontato ferrate e ha pure scalato da “primo”, cioè quello che deve portare su la corda e che, se molla la presa, prima di restare a penzoloni si fa un bel volo. Eppure è così: tutto dipende se sono attaccato a qualcosa oppure no.
Mettimi, imbragato e attaccato a un chiodo, sull’orlo di un burrone a guardare giù e non mi fa niente; stacca il moschettone e la paura fa novanta. E non è perché sono appeso al cordino: io sto lì con le mie gambe ferme; sganciami e le gambe diventano di mozzarella. C’è poco da fare: l’idea di ruzzolare giù per un dirupo o di fare un volo nel vuoto senza nulla che mi trattenga dallo schiantarmi al suolo esplode dentro la mia testa non appena mi rendo conto che tale evento sarebbe anche possibile e che dipende solo ed esclusivamente da me che questo non accada.
Io ho bisogno di sapere che qualcos’altro o qualcun altro sta garantendo la mia sicurezza; anche se c’è poi da dire che, anche qui, si tratta di aggrapparsi a un’idea, perché pure il chiodo può cedere o il tuo amico farsi scivolare la corda tra le mani... però, chissà com’è, questo pensiero non mi paralizza come l’altro. Probabilmente è questione di fiducia, dove per le cose può bastare la “solidità” (ce la fa a tenermi su), ma non per le persone, con le quali serve anche sapere che “mi ha in testa”, sono al centro dei suoi pensieri.
Come quella volta che volevo aiutare un bimbetto di sette anni a superare un brutto passaggio in montagna. Io continuavo a dirgli: «Filippo, non guardare giù, guarda me. Dai Filippo non avere paura, metti il tuo piede qua. Forza Filippo, ti tengo io». Ma lui niente: frignava e non muoveva i piedi fino a quando, dopo il mio ennesimo invito, ha sbottato: «Io non mi chiamo Filippo, mi chiamo Tommaso». Caspita, aveva ragione! E con il nome giusto ha fatto tutto quello che c’era da fare. D’altra parte come ci si può fidare di uno che neanche sa come ti chiami?!
Da giovani si ha la netta sensazione che tutto sarebbe più semplice se avessimo chiaro chi siamo, cos’è che ci muove dentro, di cosa siamo capaci e cosa non fa per noi. Così viene facile aggrapparsi a chi mostra di comprenderti, di tenerti nell’abbraccio dei suoi pensieri semplicemente perché ti vuole bene, senza gironzolarti sempre attorno, ma restando fermo lì, dove tu lo vuoi. Quando capisci di avere una persona così accanto a te è il giorno in cui sai di poter fare qualunque cosa. Resta che a volte non c’è nulla e nessuno su cui poter contare e, come potete immaginare, la mia bestia nera in montagna sono le creste, con i dirupi a destra e a sinistra, il sentiero infido di ghiaino scivoloso e nessun cordino a cui attaccarsi.
In queste situazioni quello che faccio è restare presente su ogni singolo passo che compio, senza guardare troppo in giro, senza guardare avanti dove il sentiero sembra peggiorare, ma solo i miei piedi e dove andrò ad appoggiarli. Così a ogni passo scopro che quello che verrà non è così brutto come sembrava e che ogni ostacolo ha sempre un modo per aggirarlo e che chi ha percorso quel sentiero prima di me non ce l’ha fatta perché aveva dei super poteri, ma semplicemente perché era fattibile. Non sono come alcuni di voi, ragazzi, che vivono il pericolo non come qualcosa che mette a rischio la propria incolumità, ma come un brivido da attraversare, quasi non avessero nulla da perdere se non l’ammirazione di chi li vede arrischiare la vita.
I rischi li vedo tutti, ma non lascio che invadano ogni mio pensiero: oggi faccio tutto quello che posso fare oggi. Domani sarò un passo avanti e vedrò quale altro passo potrò ancora fare. Paralizzarsi ora per quello che potrà accadere un giorno... beh... no, non ne vale la pena. Il passo fatto è fatto e non te lo porta via nessuno, così come ogni giornata piena della tua vita, una volta che l’hai vissuta. Un’ultima cosa. Quando Natanaele si accorse di come Gesù lo conoscesse fin nel profondo, si affidò a lui senza tentennamenti.
Ma per arrivare lì dovette andare oltre l’idea che nulla di buono poteva venire da Nazareth. E per farlo dovette quel giorno compiere quel singolo passo per andare a conoscerlo, senza pensare a cosa sarebbe stato domani. Anche perché il domani che sarebbe arrivato neanche era capace di immaginarselo!