Anno 132 - Febbraio 2020Scopri di più
Piccole gemme di vita
Michele Nicolè
A partire dal 1979 la Chiesa italiana celebra ogni anno, nella prima domenica di febbraio (quest’anno il 2), la Giornata per la vita. Il Consiglio Episcopale Permanente della Cei (la Conferenza dei Vescovi italiani) predispone per l’occasione un Messaggio che illustra un aspetto particolare del tema “Vita”.
Quest’anno il Messaggio presenta un titolo particolarmente esortativo: “Aprite le porte alla Vita” ed è l’occasione per dar luce al desiderio di vita buona e sensata che si genera negli uomini e nelle donne di questo tempo. Infatti, afferma il Messaggio, «la vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte».
E ancora: «Se diventiamo consapevoli e riconoscenti della porta che ci è stata aperta, e di cui la nostra carne, con le sue relazioni e incontri, è testimonianza, potremo aprire la porta agli altri viventi. Nasce da qui l’impegno di custodire e proteggere la vita umana dall’inizio fino al suo naturale termine e di combattere ogni forma di violazione della dignità, anche quando è in gioco la tecnologia o l’economia».
Un bimbo, anche se del tutto imprevisto e inatteso, è sempre motivo di gioia e di speranza. E lo sanno bene le mamme dei 24mila bambini nati in Italia dal 1994 a oggi grazie al “Progetto Gemma”, un servizio per l’adozione prenatale a distanza di donne in difficoltà tentate di non accogliere il proprio figlio. Creato 25 anni fa dal Movimento per la vita (Mpv) e sviluppato attraverso la “Fondazione Vita nova” di Milano, “Progetto Gemma” ruota intorno all’idea – rivelatasi vincente – di offrire a una mamma in difficoltà un sostegno economico per consentirle di portare a termine con serenità il periodo di gestazione, accompagnandola nel primo anno di vita del bambino.
Un modo per collaborare con gli oltre 340 Centri di aiuto alla vita (Cav) che offrono in tutta Italia accoglienza e sostegno alle maternità più contrastate. Il funzionamento è semplice: un singolo, un gruppo di persone, un’associazione, assumono l’impegno di sostenere una mamma nei sei mesi precedenti la nascita e nei dodici successivi, versando 160 euro al mese per un totale di 2.880 euro.
Fiorisce così un’adozione simbolica che crea legami perché chi si fa carico di queste mamme, se esse lo consentono (vige altrimenti la tutela della privacy), può avere notizie dei bambini nati e seguirne la crescita. Nel 2018 i bambini salvati sono stati 513, ma negli anni precedenti erano stati in media un migliaio all’anno. E i primi bambini aiutati sono oggi adulti, alcuni di loro anche padri e madri.
A “Progetto Gemma” si rivolgono soprattutto minorenni, ragazze madri, donne sposate e madri di famiglia di ogni età; un tempo per lo più straniere, oggi per metà italiane e per metà di altre nazionalità e di diverse religioni. Tra quanti invece hanno scelto di aprire le porte per sostenere la vita, come recita l’invito del messaggio dei Vescovi, vi sono molte coppie di sposi che hanno rinunciato ai doni delle nozze, famiglie che spesso portano avanti l’iniziativa in piccoli gruppi, ma anche molti pensionati per i quali 160 euro al mese costituiscono un impegno notevole, ma significano per le mamme in difficoltà una piccola entrata sicura per 18 mesi.
Tra i sostenitori merita raccontare di un gruppo di detenuti del carcere di massima sicurezza di Nuoro che, su suggerimento del cappellano, si sono impegnati nell’adozione di una mamma e del suo bambino. Un modo per riparare al male compiuto facendo sbocciare una vita che altrimenti non avrebbe potuto vedere la luce. La vita – lo sappiamo – si rivela particolarmente fragile e bisognosa di cure al suo sbocciare, ma anche nella fase terminale.
Per questo Papa Francesco, rivolgendosi alle tante persone che soffrono nel corpo e nello spirito, in occasione della prossima Giornata mondiale del malato (che si tiene l’11 febbraio, memoria della Vergine di Lourdes) auspica che possano trovare sempre più e sempre meglio nella chiesa la “locanda” del Buon Samaritano che è Cristo; un luogo cioè di ristoro «dove poter trovare la sua grazia che si esprime nella familiarità, nell’accoglienza, nel sollievo».