Anno 132 - Maggio 2020Scopri di più
Qualcosa di nuovo, anzi di antico
Alberto Amadio
Sto scrivendo in una domenica di fine marzo: è arrivata la primavera, le piante stanno germogliando, le giornate divengono via via più lunghe e luminose.
Purtroppo ci troviamo nella morsa dell’epidemia del Coronavirus. Guardo i video su whatsApp: scorrono davanti a me, in rapida successione: il Duomo di Milano con le sue guglie gotiche, che assieme a torri e grattacieli, simboli di età diverse, si stagliano sull’azzurro del cielo; le gondole cullate dalle acque del Canal Grande di Venezia con la Basilica della Salute sullo sfondo; la conca di Firenze, solcata dall’Arno e cinta dagli Appennini, in cui risaltano i marmi policromi di Santa Maria del Fiore in un’unità armonica, come in una terzina dantesca, con il Campanile di Giotto e la Cupola del Brunelleschi; il Colosseo di Roma, il Tevere a Castel Sant’Angelo, San Pietro in Vaticano, il colonnato del Bernini che si estende ad abbracciare l’umanità intera; il Vesuvio che vigila sullo stupendo Golfo di Napoli.
Un altro video esalta le bellezze di Verona, scrigno di gioielli legati tra loro dal nastro turchino dell’Adige; un altro ancora mostra i fasti dell’età romana e medievale di Bergamo Alta, la cortina muraria, la piazza centrale, la pianura sottostante di Bergamo Bassa, i cui edifici si perdono nella vasta campagna a inseguire gli ultimi raggi del sole che sta per tramontare.
Si susseguono sullo schermo del cellulare altri documentari: mi riconduce ai cari paesaggi manzoniani la visione dei laghi lombardi, circondati da maestose cime di monti e punteggiati qua e là da graziose isole, che paiono mirare le rive su cui si raggruppano i piccoli borghi storici, da ciascuno dei quali s’innalza, a proteggere e rassicurare, un campanile; suscitano in me voglia di vacanze e libertà le riprese di coste orlate da dune sabbiose, da ripide scogliere, da cespugli in fiore, le vallate alpine, i prati verdeggianti, le vette imponenti che fanno da cornice a laghetti limpidi e puri come cristallo; mi rinfranca il cuore la veduta di Civita di Bagnoregio, presso Viterbo, la cosiddetta “città che muore”, che è invece più viva e suggestiva che mai, arroccata alla millenaria rupe tufacea.
Mi rammarica un servizio giornalistico pieno di risentimento nei confronti del popolo francese, che in un primo momento sembrava sottovalutare la nostra pandemia, in cui si dice che sono stati gli Antichi Romani a costruire le strade e le città della Francia; la Divina Commedia di Dante è stata tradotta in varie lingue; i musei europei custodiscono celebri opere del Rinascimento italiano. Spengo il telefono e rifletto: da sempre sapevamo di abitare in una nazione straordinaria per il fascino della natura, dell’arte, della cultura! Conoscevamo già tutti questi incantevoli paesaggi e monumenti! È qualcosa di nuovo, anzi d’antico – scrive Giovanni Pascoli ne L’aquilone. Occorreva la tragedia di quest’anno perché ce ne ricordassimo?
A scuola molti alunni italiani non sanno dove si trovino le località più caratteristiche del loro Paese. Un tempo si andava in gita scolastica ai luoghi risorgimentali di Custoza, San Martino, Solferino; oggi gli alunni ne ignorano persino l’esistenza e desiderano viaggi all’estero. Forse noi adulti non abbiamo trasmesso loro abbastanza l’entusiasmo, l’ammirazione per la nostra patria.
Piacer figlio d’affanno – afferma Giacomo Leopardi ne La quiete dopo la tempesta: apprezziamo le cose belle che stanno attorno a noi soltanto quando temiamo che ci vengano portate via. Il mistero nella vita è grande e il meglio che ci sia da fare è quello di stare stretti più che si possa agli altri. Sono sempre parole del Pascoli. Anche questa verità dell’amore universale non è nuova, ma antica, evangelica. Eppure sembra che l’abbiamo scoperta soltanto in questi drammatici giorni.