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Quel ramo d’ulivo portato dalla colomba

Lorenzo Brunazzo

È comparsa fugacemente sui mezzi d’informazione, subito cancellata da ben più tragiche notizie, come è stata subito fermata, per il dilagare della pandemia, la marcia del fuoco olimpico verso i Giochi giapponesi. Ma forse qualcuno avrà notato che nella cerimonia d’accensione della torcia nell’antica Olimpia le fanciulle biancovestite reggevano in mano un ramoscello d’ulivo. Era questo infatti, ed è ancora oggi, uno dei simboli delle Olimpiadi, segno di pace e fratellanza perché durante i Giochi ogni ostilità tra i greci doveva essere sospesa.

Nelle Olimpiadi antiche il capo dei vincitori veniva cinto di una corona di olivi selvatici di Olimpia, sacri a Zeus. Naturalmente anche la Bibbia dà ampio spazio simbolico all’ulivo, la cui coltivazione e “domesticazione” ebbe origine seimila anni fa nelle belle terre di Giordania e di Siria, oggi tanto martoriate: era considerato, insieme all’uva e al grano, bene indispensabile, sinonimo di prosperità; il suo legno quasi incorruttibile è usato per l’edilizia sacra; l’olio è indispensabile come cibo, illuminazione, cura. Oggi, e vale la pena di ricordarlo in un anno che resterà segnato dal dilagare di nuovi morbi, anche l’ulivo è minacciato da una grave malattia, che impone l’abbattimento diffuso di piante secolari.

Certezze antiche lasciano spazio a nuove paure. Nei miei Sermoni elogio le virtù della pianta d’ulivo (Festa dei Santi Innocenti, 13) che «ha la radice amara, il legno durissimo e quasi indistruttibile, la foglia verde, il frutto gradevole. Anche il cristiano dev’essere amaro per la contrizione, fermo nel proposito, fedele alla parola, gradito nelle opere di misericordia. L’olio infatti simboleggia l’opera di misericordia». E ancora, l’olio esprime «la speranza che ha per oggetto le cose eterne le quali sono al di sopra di ogni bene transitorio» (Domenica XXIII dopo Pentecoste, 19).

Speranza che è il piede per camminare verso il Signore, attesa dei beni futuri, con umiltà e sottomissione timorosa e gioiosa ai voleri del Signore. L’olio è simbolo dell’amore di Dio che deve essere al di sopra di ogni altro amore. Oltre alla leggerezza, l’olio ha altre proprietà (Circoncisione del Signore, 6): «Rende cedevoli le cose dure, tempera le acerbe, illumina le oscure, sazia il corpo. Così anche il nome di Gesù per la sua grandezza è al di sopra di tutti i nomi degli uomini e degli angeli, perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si piega. Quando lo proclami intenerisce i cuori più duri, se lo invochi tempera le tentazioni più aspre, se lo pensi illumina il cuore, se lo leggi sazia il tuo spirito».

Gesù è quindi l’olio “sparso dal cuore del Padre”. Ma come ultimo segno vorrei lasciarvi il primo in cui compare nella Bibbia, quando Noè mandò una colomba fuori dall’arca per sondare la fine del diluvio: «Leggiamo infatti nella Genesi (Domenica XIX dopo Pentecoste, 12) che al tramonto la colomba ritornò da Noè nell’arca portando nel suo becco un ramo di ulivo con le foglie verdeggianti. (…) Nel ramo è raffigurata la costanza della mente, nell’ulivo la serena tranquillità della coscienza, nelle foglie verdeggianti la parola della salvezza».

Il ramo d’ulivo nel becco della colomba è un segno universale di pace cosmica, ma per il credente è ancora di più: immagine dell’alleanza eterna tra Dio e l’umanità. Mentre la prova si fa più dura, nella speranza della salvezza, ricordiamo che il Signore non ci abbandona ed esprimiamo la nostra fiducia con l’olio della solidarietà fraterna.