Anno 132 - Aprile 2020Scopri di più
Religione fa rima anche con guarigione
Don Giulio Osto
Di fronte alle tante esperienze religiose possiamo porci la domanda: «A che cosa servono?». Le opinioni in merito sono molte e diverse, ma l’esistenza di ogni realtà risponde sempre a un principio di qualche utilità. Anche il più incallito degli atei dovrà ammettere che se le religioni esistono, a qualcosa debbano “servire”. In latino la parola salus si può tradurre sia con salvezza che con salute. Già questa “coincidenza” lessicale ci aiuta a intuire il forte legame tra religione e salute oppure, cogliendo la rima della lingua italiana, tra religione e guarigione.
Anche la “vicinanza” tra i sacerdoti, da intendersi come figure presenti in tutte le religioni, e i medici, tra chi gestisce il sacro e chi “lavora” sul corpo, è molto importante. Solo questi rapidi accenni spalancano orizzonti immensi di intrecci, relazioni e significati che è importante tenere in considerazione sia come chiave di lettura di molte esperienze che come dimensioni permanenti con le quali confrontarsi. In fin dei conti, Gesù stesso con gesti e parole interviene nell’ambito della corporeità, della malattia e della guarigione.
Salvezza e salute, religione e guarigione, esperienze religiose e medicina sono relazioni e interazioni da utilizzare per interpretare le accentuazioni della realtà culturale nella quale viviamo. Il termine New Age è come un ombrello sotto al quale possiamo ritrovare moltissimi fenomeni assai diversi tra loro. Le dimensioni della salute, della medicina, della guarigione sono molto presenti all’interno di tante esperienze religiose che compongono questa galassia variegata e multiforme indicata, un po’ per semplicità, con queste due parole inglesi che significano, letteralmente, nuova epoca.
Uno degli aspetti di questa novità sta nell’intreccio complesso tra gli aspetti ricordati finora. È, infatti, assai complicato stabilire confini chiari e utilizzare parole precise per descrivere esperienze che hanno nomi diversi, ma ingredienti simili, presentano dei riferimenti comuni ma, allo stesso tempo, concezioni e pratiche differenti. Ad esempio, il concetto stesso di religione va totalmente messo in discussione perché inadeguato a cogliere delle “novità” appunto, rispetto a come abbiamo pensato e immaginato tale parola-esperienza nel nostro contesto europeo. Due domande importanti da porre sono: «Cosa possiamo imparare da tutto questo?», «Quali sono i possibili rischi da considerare?». Si potrebbero dare molte risposte, ne accenno a un paio.
Due aspetti da recuperare e re-imparare da questa realtà magmatica sono l’integralità e la ritualità. Tutte le forme “etichettabili” a buona o cattiva ragione con la targhetta New Age propongono e perseguono un approccio integrale, non riduttivo, non parziale alla vita. A volte, invece, l’esperienza religiosa rimane relegata solamente a qualche ambito dell’esistenza, senza alcun effetto nei molti altri. La ritualità, poi, è legata alla necessità di esercizi, partecipazione, investimento di energie, tempo, denaro e così via. Insomma, o la religione porta a un modo diverso di vivere oppure è solo un’idea astratta.
Tra i vari rischi, invece, quello più in agguato è l’utilitarismo, ritornando da dove è iniziata la nostra riflessione, cioè la possibilità che l’unico criterio di valutazione di ogni cosa, anche nell’ambito religioso, diventi solamente un tornaconto personale e, ancor peggio, individualistico. L’utilitarismo allora può distruggere qualsiasi dimensione religiosa riducendola a un prodotto di consumo, tanto appetibile quanto efficace e soddisfacente dei nostri bisogni, e forse anche solo dei nostri, in un egoismo che nemmeno porta a incontrare i volti degli altri.
Una tendenza attuale, infatti, più marcata che in passato è quella di far assorbire anche l’esperienza religiosa all’interno di una cornice commerciale-economica. Nel grande supermercato che è il mondo, sia fisico che online, ci sono dunque anche tanti prodotti religiosi, ma che obbediscono solamente alla divinità del profitto, sacro idolo al quale possiamo sacrificare la nostra libertà di produttori o di clienti.