Anno 135 - Marzo 2023Scopri di più
Scacco alla tristezza
Elide Siviero
Ho letto tempo fa questa piccola novella che mi ha davvero colpito. «Un giorno il diavolo ebbe fame. Prese con sé un sacco e decise di andar per anime. Naturalmente ambiva un bocconcino prelibato. S’acquattò dunque tra le fronde di un albero di fronte alla finestra di un sant’uomo. E aspettò. La giornata del sant’uomo trascorreva davvero nitida come il cristallo, fra preghiere, gesti di bontà e sentimenti di prim’ordine. Non una sbavatura. Non un cedimento. Tanto che anche il diavolo lo ammirò. E il suo appetito crebbe. Pareva davvero non ci fosse nulla da fare.
Ma un giorno, mentre stava scrutando quell’anima tutta bianca, il diavolo notò che anch’essa, come tutte, aveva una piccolissima crepa; verso il tramonto il sant’uomo s’affacciava alla finestra a guardare il sole sparire: e provava un breve attimo di malinconia. Al diavolo questo bastò. Concentrò tutti i suoi sforzi verso quell’attimo, lo scavò, lo dilatò e, quando divenne una buca profonda, vi riversò dentro tutti i suoi intrugli più efficaci: prima l’angoscia, poi l’amarezza, infine la disperazione.
Così che non ebbe che allungare la mano per fare un ottimo pranzo» (Dino Semplici) È interessante analizzare la tristezza. Vi è una tristezza secondo Dio, generata dall’atto peccaminoso, che ci rende tristi perché vediamo che siamo lontani da Lui. A esempio il giovane ricco se ne va via triste da Gesù... Ma qui parliamo della tristezza del giusto. Mentre i vizi sono la perversione di qualcosa di buono, che viene snaturato, la tristezza esiste da sola, non si oppone a qualcosa di buono. È una specie di godimento del dispiacere. Si autoalimenta, per questo ha una capacità autodistruttiva fortissima: fiorisce nella ricerca dell’autocommiserazione.
Porta a scivolare lentamente nel burrone dell’infelicità, ci fa rinchiudere in una specie di vittimismo indifferente agli altri. È interessante che san Paolo raccomandi ai Filippesi: «Rallegratevi nel Signore, sempre! Lo ripeto ancora: rallegratevi» (Fil 4,4). Lo ripete, lo comanda, perché i suoi amati Filippesi non si lascino ingabbiare dalla tristezza. Questo perché anche Gesù aveva consegnato la sua gioia come dono finale ai suoi discepoli: «Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11). Il primo essere triste della Sacra Scrittura è Caino, triste perché Dio non aveva gradito il suo sacrificio e per questo non riesce più a riconoscere l’amore di Dio e si scaglia contro il fratello.
Si sente una vittima, al centro del suo mondo c’è solo lui con la sua triste vicenda, non si mette in discussione, e odia il fratello. È per questo che dobbiamo rifuggire la tristezza; anche nei momenti di difficoltà, proviamo a vedere quello che abbiamo, invece di recriminare su quello che ci manca. Se ci confrontiamo con gli altri, troveremo sempre chi apparentemente sta meglio di noi: ma se poi guardiamo con attenzione, troveremo sempre anche chi in mezzo a grandi difficoltà sa mantenere il sorriso e non pesa sugli altri con la sua fatica.
Per non cullarsi nei pensieri neri della tristezza, non cadere nel suo tranello è necessario smettere di pensare che sia un sentimento innocuo, una piccola cosa legittima: essa invece è pericolosissima, è un buco nero che ci divora. La tristezza non ci molla finché non ci ha distrutto: essendo frutto della delusione, produce solo ulteriore frustrazione per cui alimenta se stessa. Non è ragionevole, è solo un’emozione, per questo non si riesce a dominarla quando se ne diventa preda. Va smascherata sul nascere, debellata con decisione, altrimenti tutto diventa filtrato dalla tristezza che come la nebbia ruba i contorni della realtà.
Solo l’amore libera dal demone della tristezza. Per questo è importante coltivare e far emergere la gioia in noi: anche nei momenti più difficili, anche quando tutto sembra andare male dobbiamo ricordarci che siamo i figli amati da Dio, che un Regno è promesso per noi, che quello che vediamo non è il tutto. E se la tristezza ancora ci avvolge, invece di fermarci a riflettere, dobbiamo distogliere l’attenzione dal pensiero triste: distrarci, fare qualcosa di concreto per un fratello; insomma, non contemplare il tramonto e scivolare nella tristezza, ma fare una torta, respirarne il profumo e ritrovare il sorriso, perché, come diceva san Giovanni Bosco: « Il diavolo ha paura della gente allegra».