Anno 132 - Maggio 2020Scopri di più

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Scrutiamo il futuro. Per un mondo diverso

Gabriele Pedrina

Io speravo che ad aprile non avremmo più avuto bisogno di mascherine; così avevo scritto. E invece ne abbiamo avuto talmente tanto bisogno che non ce n’erano neanche per chi ne aveva veramente necessità. Che storia questo Coronavirus! Stiamo vivendo un tempo straordinario e forse neanche ce ne rendiamo conto. Eppure, quando un giorno vi troverete con un finlandese o un dravido e direte “coronavirus”, entrambi capiranno di cosa parlate esibendo espressioni desolate... soprattutto il dravido.

Perché lui? Lo capirete se e quando un giorno tornerete a viaggiare, a spingervi verso terre lontane, fin nel sud dell’India dove, per l’appunto, potrete conoscere la popolazione Dravidica che ha vissuto, come tutti gli indiani, l’isolamento in casa e lo stop di ogni attività. Gente che appartiene alle caste sociali più basse e quindi molto, molto vulnerabili... e che da questa storia uscirà molto, molto desolata. Il finlandese è più facile che ne esca meglio. Non dubito che qualcuno di voi la desolazione l’abbia conosciuta di persona o perché il coronavirus ha colpito in casa o anche semplicemente attraverso gli occhi lucidi di mamma che tutti i giorni vede le facce di quelli che annaspano a respirare, oppure quelli di papà che da due mesi non apre cassa e non ha di che pagare la gente.

Per molti, invece, sarà principalmente la scocciatura di starsene chiusi in casa, tra post esilaranti e notizie da ansia che ci accompagnano in attesa del dopo. Ecco appunto: il dopo. Proviamo a concentrarci su di lui. Di sicuro alla linea di ripartenza non saremo tutti nelle stesse condizioni, con le stesse energie e gli stessi stati d’animo: qualcuno sarà più finlandese, qualcuno più dravido. Ma sta a noi voler fare la strada insieme. E voi, ragazzi, dovreste darci una mano. Come? Innanzi tutto mettendoci testa su dove, dopo, potremo andare.

Non so a che punto siamo della pandemia mentre voi mi leggete. Molti ci lavorano per risolverla, ma alla maggior parte di noi è chiesto solo di restare in casa e quindi possiamo pensare a un domani che sia diverso da ieri. È vero che ne sentiamo la nostalgia: ci mancano gli abbracci, i bar pieni di gente, lo shopping in compagnia e le serate a ballare. Ma – chiedo – abbiamo anche nostalgia del bullismo, dei conflitti, del surriscaldamento climatico, degli egoismi e dell’arroganza che incontravamo tutti i giorni? Certo che se ci basta uno spritz per convincerci che tutto è tornato a posto... Ma se avete un’idea di nuove destinazioni da condividere, questo è il momento giusto per farvi ascoltare.

Adesso che siete chiusi in casa, gli adulti son costretti a starvi a sentire; non possono più dire: «Scusa tesoro, ma adesso devo andare; continuiamo questa sera» e neanche possono zittirvi con il classico: «I discorsi sono più complicati, servirebbe tempo per spiegarti come stanno le cose». «Non c’è problema pa’ – potrete ben dire – abbiamo tutto il tempo che serve». E poi, il mondo s’è fermato. Quando una macchina è in corsa, magari con un piede ben pigiato sull’acceleratore, è difficile cambiare direzione. «Me lo dovevi dire prima... adesso come faccio a girare». Ottimo: adesso siamo nel “prima”, prima del dopo, prima di ripartire; abbiamo tempo di decidere dove andare e di impostare il navigatore. Non vale più la scusa «Le cose ormai vanno così».

Le cose non vanno, son ferme. Vediamo di farle ripartire per il verso giusto; vediamo di cambiare quanto possiamo. Ai tempi di Gesù la malattia più contagiosa era la lebbra. Una volta ne guarì dieci, ma solo uno tornò a ringraziarlo, solo uno cambiò le vecchie abitudini e incominciò a vedere le cose in modo diverso (cf Lc 17,11-19). Che sia stato forse il più giovane dei dieci?