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Don Carlo Broccardo

Gerusalemme è stata trasformata da Dio a sua immagine; ora deve cercare di rendere visibile questa nuova realtà, in modo che tutti possano ammirare il suo splendore

Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivèstiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre. Avvolgiti nel manto della giustizia di Dio, metti sul tuo capo il diadema di gloria dell’Eterno, perché Dio mostrerà il tuo splendore a ogni creatura sotto il cielo. Sarai chiamata da Dio per sempre: «Pace di giustizia» e «Gloria di pietà».

Sorgi, o Gerusalemme, sta’ in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio. Si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo, come sopra un trono regale. Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. Anche le selve e ogni albero odoroso hanno fatto ombra a Israele per comando di Dio. Perché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da lui.

Baruc 5,1-9 

Il 9 dicembre, seconda domenica di Avvento, avremo la possibilità di leggere una pagina da un libro che finora non avevamo ancora affrontato. È il libro del profeta Baruc (il collaboratore più stretto di Geremia), che è ambientato durante l’esilio a Babilonia. Il brano che leggiamo noi, per essere più precisi, è ambientato alla fine dell’esilio. Il profeta immagina la città di Gerusalemme come una donna affranta e umiliata perché i suoi figli non sono più con lei: seduta per terra, tra la polvere, vestita a lutto; a lei dice: Alzati e vestiti a festa, perché il tuo Signore è con te!

Nei primi versetti ritornano molte immagini che riguardano i vestiti della donna-città: deponi la veste del lutto e dell’afflizione, rivestiti dello splendore della gloria di Dio, avvolgiti nel manto della sua giustizia, metti sul capo il diadema di gloria dell’Eterno... Qualche riga prima, Baruc aveva immaginato la città che si rivolge ai suoi figli con parole colme di tristezza: «Andate, figli miei, andate, io sono rimasta sola. Ho deposto l’abito di pace, ho indossato la veste di sacco per la supplica, griderò all’Eterno per tutti i miei giorni» (Bar 4,19-20). Ma ora questo tempo è finito: ora è il momento di vestirsi a festa; ora, Gerusalemme, devi essere bella, perché «Dio mostrerà il tuo splendore ad ogni creatura sotto il cielo»; ora indossa il vestito della gloria di Dio, tieniti sulle spalle il mantello della Sua giustizia e come copricapo la Sua corona. In poche parole, Baruc sta dicendo a Gerusalemme: rivestiti di Dio, è Lui la tua bellezza!

Se il vestito dice l’apparire, ciò che si vede per primo di una persona, il nome indica invece l’interiorità, l’essere profondo. E anche qui c’è un cambiamento: «Sarai chiamata da Dio per sempre: “Pace di giustizia” e “Gloria di pietà”». È un programma di vita: d’ora in poi – così vuole Dio – Gerusalemme sarà casa della giustizia, di quella rettitudine verso Dio e verso gli uomini che è fondamento della pace; sarà luogo in cui si rispetta e onora Dio (pietà), e questa sarà la sua gloria. Ezechiele direbbe: «La città si chiamerà da quel giorno in poi: “Là è il Signore”» (Ez 48,35). In poche parole potremmo dire che Baruc ripete un’unica cosa: Gerusalemme è stata trasformata da Dio a sua immagine; ora deve cercare di rendere visibile questa nuova realtà in modo che tutti possano ammirare la sua bellezza.

Baruc ci aveva fatto immaginare Gerusalemme come una madre che piange ogni giorno i figli dispersi e non ci sono parole che la possano consolare. Solo un messaggio la convince ad asciugarsi le lacrime e mettersi in piedi: Guarda, stanno tornando, tutti; «si sono allontanati da te a piedi, incalzati dai nemici; ora Dio te li riconduce in trionfo, come sopra un trono regale». Dio stesso si metterà al lavoro per spianare la strada al suo popolo, per «colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio». Non solo, Dio interverrà pure sul clima per rendere più agevole il cammino: nel tragitto da Babilonia a Gerusalemme c’è solo deserto, ma in quei giorni ci sarà una vegetazione lussureggiante a sostegno dei profughi che ritornano a casa.

Se la storia di Israele sta girando pagina, è perché a un certo punto Dio prende in mano la situazione. Il soggetto di tutto ciò che sta accadendo è Dio: è Lui che dona se stesso a Gerusalemme perché ne faccia il suo vestito, Lui le dà un nome nuovo, Lui spiana e addolcisce la strada dei suoi figli perché tornino ad allietare la madre che li attende. Come scrisse Giuliana di Norwich, Dio «è il nostro vestito, e per amore ci avvolge e ci fascia, ci abbraccia e si racchiude tutto attorno a noi, ci sta vicino con tenero amore, e non ci abbandona mai».


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