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Speranza, fiore che annuncia il frutto

suor Anna Maria Borghi

la parola del santo

Ci avviciniamo all’apertura del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, incentrato sulla speranza cristiana. Così lo introduce la Bolla d’indizione: «Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. […] Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (n. 2).

Desideriamo allora lasciarci istruire anche da sant’Antonio, così che le sue parole ci dispongano a un maggior frutto dell’Anno di Grazia che ci viene incontro. In particolare “cogliamo” uno tra i numerosissimi passaggi dei suoi Sermoni sul tema della speranza, che il Santo illustra esattamente con la metafora del fiore: «E poiché nel fiore c’è la speranza del frutto, giustamente nel fiore è raffigurata l’attesa sicura dei beni futuri. E poiché il fiore è in qualche modo l’inizio dei frutti futuri, per fiore s’intende quanto meno un cambiamento e un rinnovamento nell’impegno di progredire. Quindi nel fiore è raffigurata la sicura attesa dei beni futuri o anche un rinnovato impegno nell’acquistare meriti».

E ancora in un altro passaggio il Santo descrive la speranza come «la virtù che si protende in avanti, che aspira cioè ai beni futuri. […] Quando vedo il fiore, spero nel frutto. […] Il fiore è la speranza del frutto. L’anima fedele infatti spera di trasmigrare, di passare dalla fede alla visione, dall’ombra alla verità, dalla promessa alla realtà, dal fiore al frutto, dal visibile all’invisibile».

La speranza come fiore che preannuncia e prefigura il frutto! Eppure - sembra dire Antonio - il fiore non è ancora il frutto: tra i due intercorre un cambiamento, una trasformazione alla quale concorrono come due princìpi, che sembrerebbero contrapporsi. Il frutto infatti germina dal fiore stesso, chiede di essere pazientemente e per certi versi passivamente atteso e a un tempo attivamente perseguito con impegno, con dedizione, con responsabilità. Gratuità ospitale di un intrinseco dono e operosità sembrano coabitare, propiziare insieme l’esito del fiore nel frutto. Come una donna gravida che non può far nulla per far crescere il figlio in grembo e nel contempo vi si dispone con ogni somma attenzione.

E quale forma può assumere il «rinnovato impegno» auspicato e sollecitato da sant’Antonio, quale forma della responsabilità la speranza chiama in causa? È la Bolla d’indizione del Giubileo a suggerircela nell’esercizio di «una virtù strettamente imparentata con la speranza: la pazienza. Siamo ormai abituati a volere tutto e subito in un mondo dove la fretta è diventata una costante. […] Se fossimo ancora capaci di guardare con stupore al creato, potremmo comprendere quanto decisiva sia la pazienza. Attendere l’alternarsi delle stagioni con i loro frutti; osservare la vita degli animali e i cicli del loro sviluppo; […]

La pazienza, frutto anch’essa dello Spirito Santo, tiene viva la speranza e la consolida come virtù e stile di vita, […] è figlia della speranza e nello stesso tempo la sostiene» (n. 4).

Pazientare, declinato come un concedere il tempo necessario alla germinazione del frutto dal fiore, significa permanere confidenti nel buon esito del processo… sia esso la maturazione dei propri figli, il dischiudersi di una buona relazione o l’appagata riuscita del proprio dovere lavorativo o del proprio investimento in gratuità.

Possiamo allora chiedere la grazia ad Antonio di farci intuire quale sia l’ambito della nostra vita che richiede pazienza, che auspica un’operosità grata e fiduciosa che consenta di respirare più profondamente il profumo del fiore della speranza nell’attesa di goderne la bontà indubitabile del frutto.