Anno 132 - Luglio-Agosto 2020Scopri di più
Splendore di un amore immenso
Don Chino Biscontin
In Galilea, a circa metà strada tra Nazaret e il Lago di Tiberiade, s’innalza una collina dalle forme morbide, ricoperta di vegetazione. È il Monte Tabor. È isolato e perciò dà l’impressione di una certa imponenza, in realtà non raggiunge i 600 metri di altitudine. La tradizione lo indica come il monte sul quale Gesù apparve circonfuso di luce quando era ancora in vita a tre dei suoi discepoli. E sarebbe anche l’altura su cui Egli portò gli apostoli dopo la sua risurrezione, per inviarli ad annunciare il vangelo a tutti i popoli. In realtà, i testi evangelici parlano genericamente di un monte alto.
Già in epoca bizantina, tuttavia, sulla sua vetta sorse un santuario, andato in seguito distrutto, poi ricostruito in epoca crociata e di nuovo abbattuto, infine riedificato negli anni venti dai Francescani. La solennità del santuario, l’ampiezza del panorama e l’intensità della luce, che risente anche di riverberi del Mediterraneo, rendono credibile che quello sia il luogo dove Gesù ha manifestato a Pietro, Giacomo e Giovanni la sua bellezza, per prepararli a continuare ad aver fede in lui anche quando proprio loro tre l’avrebbero visto sudare sangue al Getsemani.
Per intuire il senso dello splendore di luce di cui Gesù era circonfuso mi è stato di aiuto una narrazione che riguarda un monaco russo, san Serafino di Sarov (1754-1833) e che qui riporto nella fiducia che sarà di altrettanto aiuto ai lettori. La testimonianza è di un laico che si recava da padre Serafino per la direzione spirituale: «Era un giovedì. Lo strato di neve era alto e ricoperto da brina gelata. Padre Serafino prese a conversare con me vicino a un eremo addossato alla montagna. Mi fece sedere sopra un tronco di un albero. “Dio mi ha rivelato – disse – che in gioventù tu desideravi ardentemente sapere qual è il fine della nostra vita cristiana. Ebbene, il vero fine della vita cristiana consiste nel ricevere il dono dello Spirito Santo.
Ed è soprattutto la preghiera che ci procura la grazia dello Spirito Santo. Qualsiasi uomo, povero o ricco, debole o forte, peccatore o santo, può pregare. Grande è la forza della preghiera: per mezzo di essa siamo ammessi a parlare con il nostro Salvatore”. “Padre – gli dissi – voi mi parlate della grazia dello Spirito Santo, e mi dite che in ciò sta il fine della vita cristiana. Ma come è possibile riconoscerlo? Come saprò se è in me o no?”. “Amico di Dio – rispose – è semplice”. E tenendomi stretto per le spalle, aggiunse: “Adesso, amico di Dio, siamo tutti e due dentro lo Spirito divino... Perché non guardi verso di me?”. Risposi: “Non posso guardarvi, padre, perché una luce esce dai vostri occhi e il vostro viso è diventato più splendente del sole”. E padre Serafino mi disse: “Non temere, amico di Dio, in questo momento tu risplendi quanto me. Ora sei nella grazia dello Spirito Santo, altrimenti ti sarebbe impossibile vedere che anch’io sono in questo stato. Che provi, ora?”. “Provo – risposi – una sensazione infinitamente benefica. Sento una tale calma, una tale pace nella mia anima che non posso esprimerla con le parole”. “Questa è quella pace di cui il Signore ha detto ai suoi amici: ‘Vi do la mia pace’. E che altro provi ancora?”. “Provo una gioia ineffabile che sta invadendo tutto il mio cuore”. “Questa gioia è quella di cui parla il Signore nel Vangelo”».
Penso che lo splendore che emanava da Gesù derivava dalla pienezza dello Spirito Santo che era in lui, dono del Padre al Figlio prediletto, ed era splendore di un amore immenso, che lo portava a dare la vita per gli uomini. Nel Vangelo secondo Luca si legge che è di questo che parlava Gesù con Mosè, testimone della prima alleanza, ed Elia, capostipite dei profeti che hanno parlato nel nome di Dio.