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Tornare a fiorire

Germano Bertin

Ho visto un fiore. È sempre una sorpresa: vedere come tornano a fiorire i prati. Constatare come ciò accada dopo che tutto sembrava essersi spento e ammutolito, da lungo tempo. Poi, tutto ricomincia: in modo inevidente, nel silenzio, nel segreto. Persino quasi improvvisamente. Un giorno, mentre tutto scorre uguale all’oggi di ieri, l’aria suggerisce che è successo qualcosa. Apri gli occhi, alzi lo sguardo, cerchi un segnale dall’alto, intorno, lontano, e inaspettatamente si alza dal basso, da vicino: una luce fresca e sottile, vivace e leggera, diversa e inimitabile.

E tutto sembra assumere un senso e una destinazione diversa. Si ricomincia. Come quando alla stazione dei treni riconosci finalmente il volto della persona attesa, e tutto sembra andare al posto giusto. Cosí accade con il prato, quel prato che torna fiorito: ogni primavera. Finalmente diventa possibile tornare ad abitare spazi che apparivano definitivamente vuoti e attraversare quel tempo che, fino a poco prima, sembrava scivolare via troppo veloce e inarrestabile.

E si fa strada, soprattutto, una voglia indicibile di andare, affrontare, attraversare, annusare, assaporare, gustare, indossare quella luce di vita che arriva da quel prato in fiore. «Voglio che ogni giorno, anche l’ultimo – aveva dichiarato Ermanno Olmi, regista e poeta, in una intervista raccolta nel mezzo del bosco-giardino che avvolgeva la sua abitazione sull’Altipiano di Asiago, pochi giorni dopo il suo ottantesimo compleanno – voglio che ogni giorno mi trovi in piedi e in cammino.

Il tempo si misura con l’intensità con cui consumi i secondi, e va speso tutto per una merce rara che si chiama “emozione”, “sentimento”». Vivere, consumando i secondi che ci sono affidati per acquistare una merce rara chiamata “emozione”. E consumare i propri giorni, il proprio sguardo, le proprie parole, i propri passi per diventare profumo e colore che racconta di un prato senza confini: un prato fiorito. A chi lo riconosceva e chiamava “maestro”, Olmi replicava: «... maestro è colui che è chiamato, impegnato, a dare risposte: devo dire che io, invece, preferisco le domande, amo tornare e restare sui “perché”: i perché di chi sa che deve ancora imparare molto, i perché del bambino che desidera entrare nella vita, gustarla, anche se non sa bene ancora come riuscirci».

Preferire le domande alle risposte, altro non significa che preferire i fiori del prato. Preferire la bellezza, anche quando dura il tempo di vita di un fiore: perché un fiore è un po’ come una domanda, è il segno che esprime una emozione, un sentimento, parla di qualcosa che si apre, che non ha confini, come non ha confini la città dell’anima che ciascuno è ed è chiamato a far crescere in sé per diventare luogo d’incontro. E come il Piccolo Principe si chiedeva «se le stelle sono illuminate perché ognuno possa un giorno trovare la propria», cosí dovremmo chiederci ogni giorno se i prati tornano a fiorire, se anche un unico fiore torna ad aprirsi, perché ciascuno abbia da imparare a scegliere il proprio, fino ad apprendere a essere egli stesso colore, profumo, desiderio, confine senza confine, spazio d’incontro, bellezza che genera bellezza per il tempo che basta: la vita. In piedi e in cammino, con tante domande in mano.