Anno 134 - Dicembre 2022Scopri di più
Tra partitura e melodia
Elide Siviero
Oggi ho riascoltato per l’ennesima volta il quartetto per archi Death and the Maiden, La morte e la fanciulla, di Franz Schubert, pubblicato postumo nel 1831. È forse il più famoso quartetto del compositore, nonché considerato suo personale testamento. Schubert scrisse il quartetto nel 1824, dopo essere stato molto male e aver capito che era più vicino alla morte di quanto non volesse credere. Nel 1817, aveva già scritto il lied “Der Tod und Das Mädchen” (“La Morte e la Fanciulla”) utilizzando versi del poeta Matthias Claudius che parlavano dell’incontro di una fanciulla con la morte.
Testo e musica accompagnano l’ascoltatore oltre un’idea razionale, verso l’ignoto e il trascendente. A questo lied il compositore si è ispirato per scrivere l’omonimo quartetto, riutilizzando, come base per il secondo movimento, la melodia già scritta. Ovviamente, il tono è drammatico, ma io ci sento anche la dolcezza dell’abbandono: non mi trasmette angoscia, ma ricerca. È un brano meraviglioso che conosco a memoria: mi piace ascoltarlo più volte proprio perché ormai ogni sfumatura di quel brano mi è familiare e capisco che la musica esiste solo quando è suonata.
Non è sufficiente che ci sia la partitura di questa musica: c’è una bella differenza fra la partitura di Death and the Maiden su carta e la stessa eseguita da quattro musici; ed è anche diversa ogni esecuzione a seconda del Quartetto che la sta suonando, della bravura dei singoli maestri, dell’epoca in cui viene eseguita, della preziosità degli strumenti con cui viene effettuata, della capacità di ognuno di ascoltare l’altro suonatore. Posseggo varie interpretazioni di questo quartetto di Schubert, per apprezzare le sfumature diverse di ogni esecuzione. E posso gradirle, proprio perché ormai conosco ogni nota di questa composizione.
Oggi finché mi beavo di questo quartetto, ho pensato che il Vangelo non è un semplice testo da leggere: è Qualcuno da incontrare, è Cristo che si dona a noi e ci chiede di vivere con Lui e in Lui la nostra vita di credenti. Il Vangelo è come una partitura da suonare: dobbiamo eseguirlo insieme, farlo risuonare attraverso la nostra vita, ognuno con il proprio strumento, cercando però di diventare sempre più bravi, sempre più capaci di ascoltarci a vicenda, di avere degli strumenti sempre più preziosi, perfettamente accordati. E in questa impresa abbiamo la grazia di essere diretti dal migliore dei direttori possibili, l’autore stesso dell’opera: lo Spirito Santo.
È Lui che ha ispirato il Vangelo, la Sacra Scrittura; è Lui che ci aiuterà a incarnarlo, a “suonare la partitura” perché ogni nostra azione sia un riflesso della vita stessa di Cristo. È quello che dirà Paolo nella lettera ai Galati: «Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Gal 2,20). È come se lui ci dicesse: «Io eseguo la partitura della vita di Cristo nella mia stessa vita». Mentre, in attesa del Natale, mi riascolto ancora il mio amato quartetto di Schubert, mi ricordo che la beata Elisabetta della Trinità diceva: «Voglio che, vedendomi, si pensi a Dio».
Questo deve essere l’unico desiderio di ogni cristiano, laico o presbitero: che, vedendoci o ascoltandoci, le persone abbiano nostalgia di Dio, che sentano la musica della Trinità, che intuiscano la nostra interpretazione delle pagine dell’amore di Dio scritte per noi. Così la partitura del Vangelo sarà ancora udibile grazie alla nostra vita e saremo noi stessi segno del Natale del Signore.