Anno 135 - Febbraio 2023Scopri di più
Tutti connessi: ma comunichiamo?
Don Livio Tonello, direttore
Chi di noi non è entrato in contatto con parole nuove come cloud, social, twitter, digitale, chat, mail...? Termini che non abitavano il vocabolario della lingua italiana, ma ora di uso comune. Sono soprattutto i giovani ad avere dimestichezza con linguaggi e strumenti nuovi. Una domanda, però, sorge spontanea: favoriscono realmente la comunicazione? È vero che in un istante siamo in contatto con una persona all’altro capo del mondo.
Possiamo perfino vederla. I “nativi digitali” dialogano tra loro in una connessione continua. Quello che per noi adulti un tempo era solo un telefono ora è un computer tascabile con mille possibilità. Ma davvero smartphone, internet, app digitali aiutano a comunicare di più? Per strada, al bar, perfino al volante si vedono persone con il cellulare in mano.
A volte uno di fronte all’altro a guardare uno schermo e a digitare qualcosa. Se la tecnologia agevola i contatti non è immediato pensare che generi comunicazione. Comunicare significa mettere in comune, condividere, come suggerisce la derivazione latina cummunis. Fare dono di sé, della propria personalità, attraverso le parole, i suoni, il contatto... Non è sufficiente usufruire della potenzialità della tecnica.
C’è chi interrompe una relazione affettiva con un messaggino; c’è chi risponde di getto con una “faccina” (emoji); c’è chi scarica violenza “verbale”, offende e denigra mantenendo l’anonimato con un nome di fantasia (nickname). Soprattutto in quest’ultimo caso non c’è comunicazione. Si demolisce l’altro dando il peggio di sé e si genera ostilità. Se il cellulare potenzia l’apparato comunicativo umano, a essere amplificati risultano solo i propri handicap mentali e relazionali. Quando si ha davanti l’altro, invece, è possibile chiarirsi, rivedere la prospettiva, mutare stato d’animo.
La comunicazione è fatta di tanti elementi: l’espressione del volto, il tono della voce, la postura del corpo, lo sguardo... che dicono tanto e molto di più delle parole. Riporto queste riflessioni collegandomi alla ricorrenza della festa della lingua di Sant’Antonio che la devozione celebra in questo mese (15 febbraio). Se pensiamo alle prediche del Santo, sappiamo quale impatto abbiano avuto sugli uditori, non solo per i contenuti colti e profondi, ma per la convinzione e la testimonianza di una vita che li accompagnava.
I new media non sono da demonizzare perché l’informazione è da sempre veicolata da strumenti umani, a partire dalle incisioni rupestri dei primi uomini. Tuttavia il messaggio cambia a seconda del mezzo e di come lo si utilizza. E la facilità di parlarsi e vedersi a video, scambiarsi messaggi e immagini non va di pari passo con la possibilità di comunicare veramente, di affidare all’altro parte di se stessi per creare comunione e solidarietà. Per fare questo ci vogliono “lingua”, cuore e mente di qualità.