Anno 134 - Marzo 2022Scopri di più
Un di più che rende davvero “speciali”
Rosabianca Guglielmi
La sindrome di Down è una condizione cromosomica anomala causata dalla presenza di una terza copia (parziale o totale) del cromosoma 21. Diamo una breve spiegazione per meglio comprendere. Il patrimonio genetico dell’uomo è costituito da 46 cromosomi (che si trovano nel nucleo di ogni cellula) organizzati in coppie, costituiti da DNA in cui sono contenuti i geni che regolano i vari caratteri dell’organismo.
Si parla di cromosomi omologhi quando entrambi contengono le stesse informazioni genetiche, relative ai medesimi caratteri fenotipici (colore degli occhi, colore della pelle ecc.). Per quanto detto, nell’uomo si contano 23 coppie di cromosomi, di cui 22 sono costituite da cromosomi omologhi, mentre l’ultima coppia, che è quella dei cromosomi sessuali, è formata da cromosomi diversi. Quest’ultima determina il sesso della persona: la coppia XX è prerogativa del sesso femminile mentre la coppia XY è tipica del maschio.
Riassumendo: tutte le cellule dell’organismo umano contengono 46 cromosomi, divisi in 23 coppie, di cui 22 omologhe (autosomi) e 1 eterologa che interessa i cromosomi sessuali (eterosomi). A questa regola sfuggono soltanto le cellule germinali, che sono gli spermatozoi nell’uomo e le cellule uovo nella donna, e che sono costituite da 23 cromosomi ognuna, invece di 46 come tutte le altre.
Durante la fecondazione si uniscono e così, alla nascita, ognuna delle coppie cromosomiche è composta da un cromosoma ereditato dalla madre e da un cromosoma ereditato dal padre, ricostituendo in questo modo i 46 cromosomi dell’organismo umano. Nella sindrome di Down l’organizzazione cromosomica di cui abbiamo appena parlato viene a mancare: in ogni cellula dell’organismo, infatti, ritroviamo un cromosoma in più, cioè 47 invece di 46. È il cromosoma n. 21 a essere presente 3 volte e quindi questa anomalia genetica è chiamata “trisomia 21” oppure “sindrome di Down”.
Quest’ultima denominazione deriva dal medico inglese John Langdon Down, che la descrisse per la prima volta nel 1866, utilizzando il termine “mongoloidismo” a causa dei tratti somatici del viso dei pazienti che richiamavano appunto quelli delle popolazioni asiatiche di etnia mongola. Ben presto tale terminologia fu abbandonata perché ritenuta impropria e discriminatoria.
I pazienti con Sindrome di Down presentano diverse anomalie psico-fisiche di grado lieve, medio o grave, con maggiore incidenza di alcune patologie: cardiopatie congenite, malformazioni del tratto digerente, leucemia, alopecia, ritardo della crescita, sovrappeso/obesità, problemi a carico dell’occhio, patologie del sistema immunitario (con una maggiore suscettibilità ad infezioni soprattutto a carico delle vie respiratorie), ipotiroidismo, infiammazioni dell’orecchio e problemi ortopedici (come il piede piatto o il ginocchio valgo).
Il ritardo mentale è sempre presente, di grado variabile tra il medio e il lieve, con tendenza all’aggravamento con il progredire dell’età. La speranza di vita di quanti sono portatori di trisomia è molto migliorata in questi ultimi decenni: secondo i dati più recenti, nei Paesi economicamente avanzati è di circa 50 anni, contro i 16 anni dell’inizio degli anni ’50 e i 10 anni del 1929. Ricordiamo che la probabilità di dare alla luce un figlio con Sindrome di Down aumenta con l’avanzare dell’età della madre al momento del concepimento, e diventa maggiore dopo i 35 anni di età. Nel 90-95% dei casi è infatti la madre ad avere nella cellula-uovo due cromosomi 21 anziché uno: tale evento si verifica in modo non prevedibile.
Di conseguenza, la madre di un bambino affetto da sindrome di Down può dare alla luce un bambino perfettamente sano nella successiva gravidanza, ma è possibile anche l’evento contrario. La causa dell’anomalia numerica cromosomica non è ancora stata trovata, tanto che l’unico fattore rilevante a oggi noto è un’età materna superiore a 35 anni. L’ereditarietà della sindrome di Down è documentata solamente nel 2,5% circa di tutti i casi. Attualmente l’incidenza della malattia è stimata intorno a 1 caso ogni 750 nati vivi; da ricordare, però, che sarebbe molto più alta, ma la maggior parte (circa il 75%) delle gravidanze trisomiche per il cromosoma 21 vanno incontro a interruzione spontanea, generalmente nel primo trimestre.