Anno 133 - Aprile 2021Scopri di più
Un tappeto speciale
Elide Siviero
Durante le solennità natalizie, ho visto un’opera meravigliosa nel Duomo di Cittadella (Padova). Ho saputo che essa viene utilizzata anche durante le feste pasquali. Sul presbiterio viene steso un tappeto che lo ricopre interamente e sconfina fin sui gradini prospicienti. Ora, non è raro che nelle chiese ci siano dei tappeti che sono usati solo in certe occasioni, ma questo tappeto è speciale, unico, mai visto una cosa del genere: è interamente ricamato a punto croce.
È sconvolgente vedere un intero tappeto così grande ricamato a mano. Ho chiesto notizie e ho potuto guardarlo da vicino: sono tratteggiate delle rose e dei tondi che raffigurano degli Angeli recanti in mano i simboli dell’Eucaristia: al centro campeggia Cristo Buon Pastore. La storia di questo tappeto è suggestiva: fu ideato e disegnato da una signora, molto attiva in parrocchia nell’ambito missionario, che era anche un’artista; fu confezionato 70 anni fa da un gruppo di donne, ma non si sa bene quante persone vi abbiano lavorato.
È composto da vari pezzi che poi vennero assemblati. Giaceva inutilizzato in un angolo della sacrestia fino a quando non venne ritrovato una trentina di anni fa dal parroco di allora, che ha pensato di ripristinarlo. Il tappeto andava restaurato e sistemato: così di nuovo i vari pezzi furono affidati a diverse ricamatrici che lo rimisero in ordine. Quell’opera, che era nata da tante mani, ritornava in tante mani per essere di nuovo fruibile.
Mi ha colpito la fede che esprime un lavoro del genere: punto dopo punto, tutto ricamato per Dio, per la sua gloria. Ma c’è una riflessione che mi abita. È bello poter fare qualcosa per la Liturgia. Solitamente la gente ricama tovaglie: splendono sull’altare, hanno il nobile compito di ricevere i vasi sacri, le mani pulite, il bacio del celebrante. Si ricamano le vesti liturgiche e gli altri lini dell’altare. Ricamare una tovaglia, anche grande, è un lavoro che può fare una persona da sola.
Al contrario, un tappeto che ricopra tutto il presbiterio deve essere fatto da più persone. Richiede collaborazione e affiatamento perché i punti siano fatti più o meno con lo stesso stile e non si vedano “mani diverse”, come direbbe la mia mamma che è una grande ricamatrice. Un tappeto così grande annuncia il lavoro di una comunità, l’unione delle persone, l’accordo. Tuttavia c’è un aspetto importante che questo tappeto mi annuncia: chi l’ha ricamato sapeva che il suo lavoro sarebbe stato calpestato, non accarezzato, baciato, incensato.
Sapeva che sarebbe stato utilizzato, non per trionfare sull’altare, ma per essere calcato dai piedi, consumato dalle scarpe. Oltre che della comunione, questa opera parla del servizio umile e nascosto dei credenti chiamati a seguire Colui che si è messo ai nostri piedi, che è venuto non per essere servito, ma per servire, che nella sua passione ha conosciuto l’esperienza raccontata dai salmi: «Il nemico mi perseguita, calpesta a terra la mia vita; mi ha fatto abitare in luoghi tenebrosi come i morti da gran tempo» (Sal 143,3).
Il trono di gloria del Signore Gesù Cristo è stata la sua croce: solo se accogliamo questa realtà sapremo accettare anche di venire calpestati per essere un tappeto glorioso e splendido su cui passeggia il Signore risorto.