Anno 131 - Febbraio 2019Scopri di più
Una Bibbia da correggere?
a cura della Redazione
Ho apprezzato molto la modifica alla preghiera del Padre Nostro dove il “non ci indurre in tentazione” è stato sostituito con “non
abbandonarci alla tentazione”. Più che un errore di traduzione si è trattato di una convinzione teologica errata e non più condivisibile ovvero quella di un Dio che tenta e mette alla prova, ma già l’apostolo Giacomo aveva affermato che “Dio non tenta nessuno” (Giac 1,13). Ma allora, mi chiedo, perché continuare a pensare che Dio – quasi con un certo cinismo – abbia messo alla prova Abramo chiedendogli il sacrificio di Isacco, l’unico e amatissimo figlio? Non sarebbe da apportare anche qui qualche modifica al testo?
L.N. (Bolzano)
Per comprendere il messaggio di un Dio dal volto di padre e dal cuore di madre talora possiamo rettificare o migliorare la traduzione dei testi, altre volte invece dobbiamo portare il peso dell’interpretazione dei testi. Testi come quello del cosiddetto “sacrificio di Isacco” o del permesso che l’Altissimo avrebbe dato a Satana di mettere alla prova Giobbe sono da interpretare sempre alla luce del Vangelo e con la chiave delle parole e dei gesti del Signore Gesù. Riprendendo il suo riferimento, mi piace spendere una parola in più circa Abramo sul monte Moria. Alla fine del racconto, il nostro padre nella fede deve sacrificare un ariete e non più l’agnello che è suo figlio. Il vero sacrificio di Abramo è accettare di rinunciare al suo modo di immaginare Isacco, suo figlio, per lasciarlo libero di andare per la sua strada. Come dice un maestro dei nostri giorni – Haim Baharier – “interpretare o morire”. Questa frase può essere anche intesa come “interpretare o far morire”. Un cuore formato alla scuola del Vangelo anche quando le traduzioni sono difettose o ambigue saprà trovare sempre l’interpretazione che fa vivere e sperare.