Educazione, antidoto agli -ismi

DonMinzoni

Educare è una vera forma di carità, e lo sapeva bene un sacerdote di cui il 23 agosto ricorrevano i cento anni dalla morte, don Giovanni Minzoni.

Settembre. Si ricomincia. Il nuovo anno scolastico è alle porte e nell’intuizione dei poeti questo mese “è tempo di migrare” o, per altre voci, “mese del ripensamento”, che porta “il dono usato della perplessità”. Ebbene vale la pena di lasciarsi provocare e usare questo “dono usato” per guardarci intorno nella prospettiva proprio della scuola che ricomincia e dello sforzo educativo che la scuola porta con sé, richiede, incarna.

Educare è uno dei compiti più importanti e nello stesso tempo gravosi per chi ne ha la responsabilità. Educare è una vera forma di carità, e lo sapeva bene un sacerdote di cui il 23 agosto ricorrevano i cento anni dalla morte, don Giovanni Minzoni. Una morte violenta la sua: ucciso dagli squadristi che avevano in odio la libertà, la cura del pensiero delle nuove generazioni. Uomini che intendevano l’educazione come indottrinamento, non sopportavano gli spiriti aperti, inclusivi. Seguivano la logica divisiva e del nemico per servire il proprio potere.

Don Minzoni, lo ha ricordato il cardinale Matteo Zuppi, è stato ucciso “dalla violenza fascista e dalle complicità pavide di chi non la contrastò”. E il fascismo – è sempre il presidente dei vescovi italiani a spiegarlo –, sia pure colorato in tanti modi differenti significa sempre “disprezzo dell’altro e del diverso, l’intolleranza, il pregiudizio che annienta il nemico, il razzismo raffinato o rozzo che sia, la violenza fisica che inizia sempre in quella verbale e nell’incapacità a dialogare con chi la pensa diversamente”.

L’antidoto? Lo stesso che fu di don Minzoni: l’impegno educativo, la fatica quotidiana di costruire animi liberi, di rivolgersi a tutti e avere cura di tutti, senza distinzioni. Ancora il cardinale Zuppi, ricordando il sacerdote parroco di Argenta, nel Ferrarese, ha parole chiare e forti: “Don Minzoni ci insegna la forza dell’amore cristiano che non teme l’odio del mondo, mai servo di idoli e ideologie, ma attento a costruire un mondo dove tutti sono fratelli”.

Serve ricordarlo adesso, proprio alla vigilia del nuovo anno scolastico, per sottolineare l’importanza di un impegno educativo di cui la scuola intera è protagonista – secondo gli stessi dettami della nostra Costituzione – e provocati dalla “perplessità” (il dono di questo mese di settembre) che nasce dal vedere comparire nel dibattito pubblico, sui media, nei salotti e nelle stanze della politica, pensieri potenzialmente divisivi e atteggiamenti fortemente discutibili.

La vicenda delle affermazioni del generale Vannacci – ammettiamo pure estrapolate dal loro contesto – in un libro che è diventato un best seller non può non generare sgomento. La reazione dello Stato c’è stata, con la rimozione del generale (che, indossando una divisa, ha peraltro un ruolo istituzionale) dal proprio incarico, ma nello stesso tempo si è agitato nel Paese un moto di pensieri e di consensi anche politici – una manovra fatta ad arte? – intorno a quella che sembra ricordare la “violenza verbale” sottolineata dal cardinale Zuppi. Gay, stereotipi razzisti ed altro sono finiti nel mirino e nel tritacarne del dibattito pubblico, titillando umori non certo dei migliori.

E allora torniamo alla scuola e all’antidoto di don Minzoni: educare. Oggi più che mai, di fronte alle mille opportunità e provocazioni che la nostra società globalizzata propone, lo sforzo educativo di formare uomini e cittadini liberi e responsabili, secondo i valori della Costituzione, è un compito indispensabile.

Cominciamo con questi pensieri il nuovo anno scolastico.

 

Alberto Campoleoni
Agensir