Il 2 febbraio ricorre la Giornata mondiale per la vita consacrata. A causa dell'emergenza sanitaria, in Diocesi non si tiene la celebrazione prevista per sabato 30 gennaio a Cittadella. «Quest’anno la giornata ha una modalità diversa – chiarisce don Alberto Albertin, delegato diocesano per la vita consacrata – non più concentrata a livello diocesano, ma rimandata a livello locale. Si è pensato infatti di invitare i consacrati a viverla nei posti abituali, nelle comunità o nelle parrocchie, mantenendo la data fissata del 2 febbraio. Questa situazione che stiamo vivendo ci obbliga tutti – Chiesa, fedeli, consacrati, religiosi – a coltivare quella speranza che non è semplice ottimismo che tutto vada bene, ma speranza cristiana che ci spinge a cogliere il senso di quello che stiamo vivendo e che ci sprona a uscirne trasformati e migliorati, come dice il papa».
Ripensare all’essenziale: questo può essere il monito della giornata che può diventare anche occasione, per i consacrati, di capire come diventare significanti per una comunità che, soprattutto in questo periodo, chiede vicinanza e una presenza silenziosa, gioiosa, consolante e compassionevole. «Questa giornata – evidenzia Silvia Sandon dell'Ordo Virginum – è una carezza, è un’attenzione che la Chiesa dà alle persone per fare memoria di questa dimensione della vita. Nello scorrere dei giorni, veloci ma intrisi di paure e difficoltà, sapere che c’è un momento in cui fermarsi e accendere una preghiera particolare, è segno di speranza. È un aiuto a rinnovare la mia scelta, ma è anche occasione per mettere nelle mani del Signore tutto quello che riceviamo nel quotidiano». È un tempo infatti in cui sorgono diverse domande, ci si interroga, le persone consegnano ai consacrati tante fatiche quotidiane, pensieri, malesseri interiori e solitudini, perdite di affetti. «Sono interrogativi che accogli e offri al Signore – continua Sandon – perché lui può dare consolazione. Le persone ci cercano come fossimo piccole luci che danno sicurezza, certezza nella preghiera. Non è banale: anch’io l’ho provato nel momento del mio discernimento. Ci si affida a qualcuno e il nostro compito è agganciare questa speranza e alimentarla, rispettarla, perché l’altro ti consegna un pezzo della sua vita».
«Il periodo di ristrettezze che stiamo vivendo – afferma suor Donatella Lessio, segretaria diocesana Usmi, Unione superiore maggiori d'Italia – ha aiutato gli istituti religiosi andare nel profondo della propria identità, guardare agli aspetti di casa propria che forse alle volte corriamo il rischio di perdere di vista. Come? Con un contatto più profondo con il Signore, riscoprendo l’intimità con lui. Siamo entrate in quella dimensione di sponsalità che è propria della nostra scelta. E come ci stiamo dentro? Con la curiosità di discernere le parole che la storia ci dice, filtrate con la Parola di Dio».
La pandemia ha portato sicuramente molto smarrimento, ma è anche occasione per verificare quanto alcune scelte possono essere semplice abitudine o esigenze vere e proprie: «Il mio stare con il Signore com’è? – si domanda fra’ Dario Maria Lago, eremita diocesano – Il mio comportamento può essere cambiato? Migliorato? Non rendiamo questo tempo sterile, non rassegniamoci in modo infecondo. Ma piuttosto ricorriamo ancora di più alla preghiera in cui diventiamo povera voce di un gemito sussurrato da ogni uomo sconvolto dalla pandemia. Chiediamoci cosa ci sta dicendo questa situazione a livello personale e comunitario. Viviamo questo tempo come opportunità di ascolto senza correre il rischio di cadere nella paura dell’incontro con l’altro o di essere pericolo per l’altro. Non lasciamoci vincere da queste paure e non rischiamo quindi di compromettere le relazioni. Se prima ci guardavamo in pieno volto, ora concentriamoci sugli occhi. Impegniamoci a cercare con più profondità quello che abbiamo».
La pandemia ha messo a nudo le relazioni, le ha rese più difficili «ma credo che ci abbia anche fatto innamorare delle persone – sottolinea don Paolo De Cillia, da poco segretario diocesano Cism, Conferenza italiana superiori maggiori, e superiore della comunità salesiana del Manfredini di Este – c’è desiderio dell’altro, di vicinanza. Ci ha aperto gli occhi su cosa dobbiamo coltivare». Dare sapore al proprio esserci, quindi. Ciascuno con il proprio carisma e con i propri talenti. «C’è richiesta di parole di speranza da parte delle persone – conclude don De Cillia – Il nostro compito credo sia proprio quello di farsi presenza, ascoltare, recuperare una dimensione di speranza e annunciarla, condividere le fatiche. Deve essere uno stimolo a dare profondità alle cose che già facciamo, tornando all’essenziale, perché la vera fatica sarà dopo, quando bisognerà ripartire. Ora è tempo per capire che non c’è solo un fare, ma anche un esserci».
Empatia, solidarietà e vicinanza
«Le difficoltà e le prove che incontriamo in questo periodo – afferma Vania Rampone, referente per gli istituti secolari di Padova – attestano l’autenticità del cammino. La ricetta per essere significativi è sempre la stessa: empatia, solidarietà e vicinanza con le persone. Questo rende significativo un cammino, una scelta di vita».
I voti vissuti nella pandemia
«La pandemia – afferma suor Donatella Lessio – credo ci abbia aiutato a vivere meglio i nostri voti: l’obbedienza, ad esempio. Obbedienza alla storia che ha un messaggio da dire e nel quale la parola di Dio si rivela, perché sappiamo dalla Bibbia che Dio parla anche attraverso la storia. Questo virus ci ha obbligato a fermarci e a dire di essere obbedienti, da un punto di vista civile, ma non solo. Ma anche la povertà: l'abbiamo vissuta in pienezza. Essere limitati, non poter incontrare la gente, una povertà di abbracci che ci rimanda però alla ricchezza del Signore. E la castità, intesa come "non mi approprio di niente", ho un cuore libero per far entrare anche gli altri».
Lodovica Vendemiati