È una banalità dire che per la guerra servono armi. Papa Francesco non smette di denunciare lo scandalo della produzione e del commercio delle armi, presentate sempre come la soluzione di tragedie di cui esse sono in gran parte la concausa. Dal 1990 c’è in Italia una legge, la 185, che regola il modo in cui le armi possono essere esportate. Non si tratta di una legge che vieta in assoluto la produzione e il commercio di materiali di arma, anche se l’articolo 1 al comma 3 prevede che il Governo predisponga misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie del settore della difesa: un’affermazione di principio importante nel riconoscere la necessità di allontanare il sistema produttivo del nostro Paese da una economia di guerra.
Assieme a questa affermazione, sempre difficile da mettere in pratica, tale legge contiene però almeno altri due elementi fondamentali. Il primo è quello relativo alla chiara indicazione che i sistemi di arma prodotti nel nostro Paese non possono finire a Paesi impegnati in conflitti, oppure che violano i diritti umani. Anche questa è una cosa difficile da mettere in pratica, come dimostrano le bombe italiane scaricate dall’Arabia Saudita sulla testa dei civili yemeniti; oppure i proiettili utilizzati dall’esercito del Myanmar nel reprimere le proteste della piazza.
L’ultimo, fondamentale pilastro è quello della trasparenza: le informazioni di come e dove avviene l’esportazione delle armi italiane devono essere di dominio pubblico; così come deve essere conosciuta la lista delle banche che impiegano le risorse dei risparmiatori e dei lavoratori per finanziare operazioni di vendita di armi.
Non sempre è stato puntualmente rispettato in questi anni il dettato della legge 185, che dal 1990 è stata oggetto di continui tentativi di revisione. Queste norme rappresentano però un baluardo fondamentale, che ha permesso, tra l’altro, anche grazie a una forte mobilitazione della società civile, di limitare ad esempio l’esportazione delle bombe prodotte in Sardegna e destinate all’Arabia Saudita. Sulla necessità di una maggiore attenzione al commercio delle armi conviene peraltro tutta la comunità mondiale, che ha promosso un trattato sul commercio delle armi che il governo italiano ha ratificato nel 2014, impegnandosi così ad un certo grado di trasparenza anche a livello internazionale.
Questo baluardo di trasparenza rischia però ora di essere anche formalmente reso del tutto inefficace: il 21 febbraio il Senato ha approvato una proposta di modifica della 185 che potrebbe vanificarne completamente gli obiettivi. Con questa proposta di modifica viene abolito l’Ufficio che aveva tra le altre cose il difficile compito di contribuire allo studio e alla individuazione di ipotesi di conversione delle imprese nel settore non bellico, e si chiude ogni spazio per segnalare violazioni dei diritti umani nei Paesi destinatari dell’export di armi italiane da parte delle organizzazioni della società civile; ma soprattutto cade l’obbligo di dettaglio analitico sulle autorizzazioni all’esportazione dei sistemi di arma e sulle banche che finanziano queste operazioni.
Neanche l’adesione al trattato internazionale del 2014 sul commercio delle armi viene menzionato nella nuova legge, nonostante la proposta di un emendamento in questo senso da parte della stessa relatrice di maggioranza, on. Stefania Craxi. Si tratta, insomma, di un deciso arretramento in termini di informazione e di consapevolezza dell’opinione pubblica. Tra le conseguenze più dirette, vedremo sparire ogni dettaglio sulle “Banche armate”, che anche recentemente hanno consentito di mettere in evidenza interessi di alcune banche in questo settore. L’intento dichiarato era di semplificare l’export di strumenti di morte, ma in questo modo si fornisce davvero un assist perfetto alle industrie italiane impegnate nel settore, a partire dalla Leonardo, tredicesimo produttore a livello globale, secondo gli ultimi dati, e attore protagonista di un mercato in fortissima espansione.
Il commercio delle armi non deve essere “semplificato”, come nell’intento dei promotori di questa proposta di legge; se non negli interessi diretti di chi queste armi produce e commercia. E questa “semplificazione” non produrrà nessun miglioramento della sicurezza del nostro Paese. Sarà anzi molto più facile che le armi italiane finiscano a Paesi in guerra, o le cui pratiche sono in aperta violazione dei diritti umani, come ha notato la Rete Pace e Disarmo, da anni impegnata su questo tema. Come troppe volte nella storia è avvenuto, armiamo i conflitti che poi minacceranno la nostra stessa sicurezza, e che diventeranno a loro volta argomento per ulteriore riarmo.
La proposta della modifica della 185/90 sta provocando una forte attenzione, con un movimento che in fase di discussione parlamentare ha formulato delle proposte di modifica costruttive e di buon senso: nessuna di queste proposte è stata accettata, a certificazione di quanto limitata sia la volontà di dialogo quando si parla di trasparenza e rispetto dei diritti umani. Diverse organizzazioni cattoliche hanno preso una posizione assai ferma su questo argomento, appellandosi alla coscienza dei parlamentari contro il falso realismo della guerra.
Massimo Pallottino
Agensir - Foto: ANSA/SIR