Una storia piccola e semplice, che ci invita a non smarrire mai il senso e lo spirito
del Natale o, eventualmente, a ritrovarlo nella sua pienezza e verità.
Erano quasi le sei di sera. Un freddo gelido sembrava ricoprire la vigilia di Natale di una coltre di malinconia. Tra poco sarebbe arrivato Marco per prendere Elisa, come faceva di consueto tutti i fine settimana.
Chiara non voleva incontrarsi con lui. Terminò di riassettare la cucina, ricordò a Elisa di completare il borsone con le sue cose perché suo padre sarebbe arrivato da un momento all’altro. Affacciata alla finestra, scrutava l’arrivo del marito. Quando lo vide scendere dalla macchina e avviarsi al portone di casa, prese in braccio il piccolo Luca e uscì senza salutare Elisa. Non le fu possibile evitarlo mentre scendeva le scale.
“Ciao, Chiara” le disse cordialmente Marco.
“Ciao” gli rispose “torno subito”.
Marco trovò la porta aperta, chiamò Elisa che gli corse incontro affettuosa come sempre.
“Ciao, piccola, come stai?” le chiese abbracciandola. “E la mamma? Tutto bene?”.
“È arrabbiata con me perché volevo un cellulare, ma ha detto che i soldi che aveva servivano per cose più importanti”.
Marco non rispose, si limitò a sorriderle. Si guardò in giro: tutto in ordine, come sempre. Notò sul tavolo un biglietto giallo: “Nel frigo troverete qualcosa per la cena. Non mi aspettate. Chiara”.
Marco aprì il frigo: vide solo poche uova, del formaggio e una bottiglia di latte quasi vuota.
“Non avete fatto l’albero di Natale?” chiese Marco.
“No, mamma ha detto che non serve a niente” rispose Elisa quasi sul punto di piangere.
Marco restò in silenzio. Avrebbe voluto dire ad Elisa che mamma non era arrabbiata con lei, che forse Chiara aveva ragione sull’inutilità dell’albero di Natale, che mamma aveva tanti motivi che potevano motivare quel no. Forse il principale motivo era proprio lui che aveva lasciato lei ed Elisa dopo che Chiara gli aveva comunicato che aspettavano un altro bambino. Quella seconda gravidanza lo aveva spaventato: il suo lavoro era precario e non era pronto a nuovi sacrifici. Era andato via di casa senza molte spiegazioni, alcuni mesi prima della nascita di Luca. Non meritavano giustificazioni i sensi di colpa che riaffioravano, in quel momento, più intensi che mai. Non poteva continuare a pensare a se stesso.
“E se facessimo ora l’albero di Natale?” chiese Marco alla figlia.
“E se poi mamma si arrabbia?” ribatté Elisa un poco intimorita.
“No, tranquilla, le faremo una sorpresa”.
Marco si ricordò che nel piccolo ripostiglio Chiara conservava l’albero di Natale, che avevano comprato quando era nata Elisa, e in una scatola quanto serviva per addobbarlo. Propose alla figlia di aiutarlo e in men che non si dica l’albero fu pronto: era povero ma bello, dava luce e vita alla piccola casa.
“E mamma?” chiese Elisa, desiderosa che Chiara ammirasse quanto avevano fatto. Marco non seppe cosa rispondere.
Chiara stava vagando senza una meta. Quell’aria di festa la intristiva, l’allegria della gente la irritava. Tutto sembrava irreale, tranne la sua solitudine, pungente come il freddo della sera, profonda come la notte che avanzava, concreta come la realtà che la circondava. Tentava di riscaldare Luca tenendolo stretto a lei. Pensò di cercare un luogo dove potersi riparare e dove nessuno potesse ricordarle chi era. I bar erano ancora affollati, i negozi stavano per chiudere.
Una chiesa era aperta e vi si diresse. C’era molta gente. Sedette all’ultimo banco. La melodia dei canti natalizi, la cui dolcezza scese come balsamo nel suo cuore, sembrò acquietarla e si abbandonò, come a una tenera e commovente carezza, alle consolanti parole del canto: “… È Natale, non si soffre più!”.
Si guardò intorno. In angolo, in fondo alla Chiesa, notò uno strano presepe, dove tutto era sobrio, povero, essenziale. Richiamò alla mente i ricordi dell’infanzia: ricordava un presepe fatto di statuine di gesso, di muschio, di sughero, di neve di farina. Nel vedere al posto delle statuine inanimate persone vere e reali, pensò che ciò che aveva ritenuto per anni una favola per bambini si fosse trasformato in qualcosa di stupendamente e inspiegabilmente vivo e umanamente reale.
Il suo sguardo si posò su Giuseppe: si era sempre chiesta come aveva fatto quell’uomo ad accettare una paternità non sua, al punto da amare e custodire quel bambino le cui origini erano così complesse e misteriose.
Guardò Luca: si era addormentato, sfinito forse da quel peregrinare faticoso e solitario. Come quel bambino nella mangiatoia, anche suo figlio era povero. Ma oltre a quella povertà materiale, il suo Luca aveva conosciuto un’altra povertà: suo padre non l’aveva accolto, custodito, protetto come aveva fatto Giuseppe con Gesù. Marco era andato via prima della sua nascita, e lei si era ritrovata sola con Elisa, di appena nove anni, e un bimbo in arrivo. Aveva cercato di comprendere la paura di Marco. Ma non capiva come aveva potuto lasciarla sola proprio in quel momento.
Non aveva chiesto aiuto ai suoi genitori: non avevano mai visto di buon occhio il suo matrimonio con Marco. Sul lavoro aveva chiesto il part-time, e, prima e dopo la nascita di Luca, aveva goduto dei permessi che le spettavano per legge. Solo Anna, sua vicina di casa, le era stata accanto nei momenti più difficili e di bisogno.
Non riuscì a fare a meno di pensare che Gesù, Il figlio di Maria, era stato in fondo più fortunato del suo piccolo Luca: aveva una mamma forte e coraggiosa, Giuseppe lo amava, gli Angeli avevano cantato per lui, i Magi gli avevano portato doni preziosi e i pastori tante cose buone da mangiare. Anche il firmamento “si era interessato” a lui: una stella cometa era apparsa e aveva indicato la sua presenza.
Chiara guardava “quella famiglia”, povera come la sua, ma unita, serena, dignitosa.
La giovane donna, che in quel presepe originale rappresentava Maria, alzò lo sguardo, incrociò quello di Chiara e le sorrise. Ma Chiara non trovò la forza di fare altrettanto. Nascose le lacrime e si allontanò. Sulla porta della chiesa c’erano dei giovani vestiti da pastori: le augurarono Buon Natale e le fecero dono di un piccolo presepe. Chiara lo accolse commossa: era l’unico dono che stava ricevendo per questo Natale. Pensò a Elisa che le aveva chiesto un cellulare e si pentì di averla trattata con durezza; pensò a Luca che aveva bisogno di vestiti nuovi; si ricordò del maglione che aveva desiderato per lei; pensò con malinconia alla cena di Natale che avrebbe voluto preparare e condividere con la sua famiglia.
Si era fatto tardi, per strada c’era ancora gente. La notte era particolarmente stellata, avvolta da un’atmosfera di serenità e da un silenzio che custodiva un senso di attesa per qualcosa di importante che stava per accadere sulla terra.
A quell’ora il marito ed Elisa, senza dubbio, erano già andati via, poteva, quindi, tornare a casa con Luca.
Giunta vicina al portone, guardò la finestra dell’appartamento: si intravedeva uno strano riflesso di luci colorate. Pensò al peggio e salì ansiosa le scale. Aprì la porta con cautela: tutto era in ordine come aveva lasciato. Ma in un angolo del piccolo salottino c’era il loro vecchio albero di Natale, addobbato e luminoso, con piccoli doni, e Marco ed Elisa che la guardavano.
“Buon Natale, Chiara” le disse Marco prendendo per la prima volta Luca tra le braccia.
Elisa la scrutava: temeva che fosse ancora arrabbiata con lei.
Chiara le sorrise e l’abbracciò forte: “Non posso regalarti un cellulare. Scusami, Elisa”. E offrendole il piccolo presepe avuto in dono, le disse serena: “Ma ti restituisco il Natale che ti ho negato e con esso il diritto a una famiglia”.
Elisa la prese per mano e la condusse in cucina: la tavola era apparecchiata a festa e nel forno c’era un pollo, già cotto, che Marco aveva comprato.
Stavano per sedersi quando suonarono alla porta, Marco andò ad aprire, era Anna. “Buon Natale, Marco. E Chiara?”.
Chiara li raggiunse e Anna le consegnò il suo dolce preferito.
Come per incanto erano di nuovo insieme: “Buon Natale Marco, Buon Natale Elisa, Buon Natale Luca: abbiamo ritrovato nel Natale di Gesù il nostro Natale”.
Sul tavolo Elisa aveva collocato il piccolo presepe. Gli occhi di Chiara lo contemplavano con gratitudine e commozione: “Buon Natale Maria, Buon Natale Giuseppe: oggi il vostro Natale è anche il nostro Natale. E Buon Natale, piccolo e dolce Gesù: in Te, Bambino temuto ed amato, accolto e rifiutato, tutto riacquista senso e una gioia profonda rinnova la voglia di vivere”.
A te,
che hai letto questa semplice e piccola storia,
auguro, di cuore, di non smarrire mai
il senso e lo spirito del Natale.
Se ciò dovesse accadere,
possa tu ritrovarlo nella sua pienezza e verità.
suor Gaetana Nicolaio