Pat camminava serena sul sentiero che porta alla vecchia chiesa . Stava per calare il sole ed era ammirata di quel luminoso tramonto tra le querce antiche e le foglie avide di calore, che si inchinavano al vento. Ogni tanto tirava un calcio lento alle pietre del selciato, indirizzandole verso il ciglio della strada e, alzando gli occhi al cielo, ricordava quando lo stesso percorso la conduceva alla dimora della dolce mamma, che l’attendeva ansiosa dietro la finestra. Poi l’ultimo sussulto di vita e tutto era svanito: la casetta, la strada, le piante.
Pat le riscopriva ora, dopo tanto tempo, fra il malinconico e il doloroso rimpianto.
Si sarebbe fermata al limitare del bosco per inoltrarsi tra le vigne dorate d’autunno, per arrivare prima all’appuntamento con il grande crocefisso, che pietosamente contemplava il suo popolo di fedeli.
L’ultimo tratto le sembrava molto più lungo di un tempo, capace di attrarre la sua attenzione e di suscitare in lei il dolore del ricordo. Ma “l’amore non muore mai”, si ripeteva ignorando una solitaria lacrima che percorreva veloce il suo volto.
All’improvviso un’inattesa presenza: un signore dal volto sereno si distolse dall’osservazione del paesaggio e le passò davanti, quasi la sfiorò, di un impalpabile aereo tocco.
Pat notò un dolce, enigmatico sorriso sul viso dello sconosciuto, che si abbassò in un cerimonioso, lento saluto. Quella strana figura l’aveva sottratta ai suoi pensieri, al suo immedesimarsi nella natura, che svogliatamente voltava le spalle all’estate.
Ad un tratto uno strano scricchiolio fece sobbalzare la donna, che si era voltata a ricambiare il saluto, desiderosa di scambiare due parole con il signore che aveva incontrato.
Sì, perché Pat era un’incontenibile, simpatica chiacchierona e non avrebbe disdegnato un breve dialogo con lui. Ma niente: l’uomo era svanito nel nulla, senza il minimo rumore, senza lasciare traccia. Come in sogno, quasi in trance, Pat ebbe appena il tempo di contemplare il grosso tronco che le sbarrava la strada ed ascoltare, come un tuono lontano, il boato che era succeduto a quello scricchiolio allarmante.
Senza colpo ferire, la grossa quercia giaceva gemendo ai suoi piedi, disseminando rami secchi, ghiande e foglie sull’area circostante. Ebbe appena il tempo di chiedersi cosa sarebbe successo se non si fosse fermata a rispondere all’enigmatico saluto dello sconosciuto ed a voltarsi indietro per vedere che direzione avesse preso. Sicuramente non sarebbe rimasto molto del suo esile fisico, travolto e sepolto da quell’enorme albero.
Il cuore le batteva forte, ma i suoi pensieri erano rivolti a quell’uomo elegante e taciturno che aveva deciso il suo destino. Un sorriso impercettibile le si era disegnato sul viso: un angelo?
Ma era svanito subito, perché niente accade senza motivo ed una scienziata come lei lo sapeva bene, eppure… Pat aveva messo le sue mani tremanti tra le mie mentre, sconcertata, mi raccontava l’accaduto. “Pat – le dicevo – non è un affronto alla tua fede scientifica ammettere che quella presenza… non era terrena”.
Era rimasta interdetta, ma non mostrava atteggiamenti agnostici e rifletteva senza posa.
“Ma tu vorresti dire che qualcuno, che mi ama lassù, abbia mandato un angelo?”
“Non hai detto tante volte che l’amore non muore?”, replicavo. “Forse cambia solo modalità e mezzi d’intervento”.
Ci siamo recate insieme per cercare il tronco della quercia, le foglie sparse sull’asfalto, ma non ce n’era traccia. La telefonata allarmata e meravigliata a suo marito aveva fatto intervenire prontamente i vigili del fuoco, ma per fortuna, non l’ambulanza. Già, per fortuna…
Solo per fortuna?
Armida Perrini