La concretezza della fede

In piazza San Pietro ci sono i bambini con le statuette del bambinello del presepio nelle loro mani, a ricordare che la nostra gioia è in quella mangiatoia. La terza domenica di Avvento, posta com’è a metà del percorso verso il Natale, ci fa riflettere non solo su chi è il festeggiato, Gesù, ma anche sul fatto che la venuta del Signore non può provocare altro che gioia nel credente: “siate sempre lieti nel Signore” scrive Paolo ai Filippesi, “il Signore è vicino”. Domenica gaudete, dunque, dedicata alla letizia, alla gioia – non l’effimera allegria – attesa dell’incontro con il Signore che nasce.

Festa che nelle nostre strade è anticipata dalle luci, dalle vetrine con richiami spesso difficili da ignorare, anche in tempi di crisi. Papa Francesco all’Angelus ci invita a gioire ma anche a non dimenticare drammi e difficoltà dei nostri fratelli. Subito l’Ucraina, appello e preghiera “perché le tensioni siano risolte attraverso un serio dialogo internazionale e non con le armi. Che questo Natale porti pace all’Ucraina”. E nuova richiesta affinché si fermi la corsa agli armamenti: “le armi non sono la strada”, afferma Francesco.

Le parole di Paolo agli abitanti di Filippi “siate sempre lieti nel Signore”, e “il Signore è vicino”, sono invito che deve scuoterci dal torpore di una vita triste, vuota e vissuta senza entusiasmo. Il Natale, ricordava Papa Benedetto “ci aiuta a riscoprire il senso e il gusto della gioia cristiana, così diversa da quella del mondo”. Per gioire, affermava ancora, abbiamo bisogno “non solo di cose, ma di amore e di verità: abbiamo bisogno di un Dio vicino, che riscalda il nostro cuore, e risponde alle nostre attese profonde”.

Nel Vangelo di questa domenica, Luca ci porta di nuovo ad ascoltare le parole di Giovanni Battista, uomo austero, senza compromessi, che ha scelto il deserto come sua dimora. Eppure, la gioia è stata, come dire, la cifra della sua esistenza, il tono della sua vita. Non invita a fuggire nel deserto, a ricoprirsi di pelli di animali; il luogo della conversione è la vita in cui deve prendere forma la parola di Dio, che dona salvezza. Un Dio che viene e che è più forte di lui, ricorda, al quale non è degno di slegale i lacci dei sandali.

Le parole di Giovanni non contrastano, dunque, con l’invito alla gioia di questa domenica, perché a ben vedere il suo invito alla conversione, è messaggio di speranza, ricerca di un volto al di là e sopra ogni giustizia, il volto della misericordia. Così papa Francesco che ripropone la domanda che è stata rivolta a Giovanni il Battista: “che cosa dobbiamo fare?”. È un interrogativo, ha commentato, che “non parte da un senso del dovere”, ma dall’entusiasmo per la venuta del Signore. Domanda che ha un significato più alto: “cosa fare della mia vita? A cosa sono chiamato? Che cosa mi realizza?”. Interrogativi che ci ricordano che “la vita ha un compito per noi. Non è senza senso, non è affidata al caso”. In questo tempo siamo “indaffarati in tanti preparativi, per regali e cose che passano, ma chiediamoci che cosa fare per Gesù e per gli altri”.

Così Giovanni Battista dà risposte diverse alle folle – “chi ha due tuniche, ne dia a chi non ha” – ai pubblicani – “non esigente nulla di più di quanto vi è stato fissato” – ai soldati, alle loro domande; a “ciascuno è rivolta una parola specifica, che riguarda la situazione reale della sua vita”. Perché la fede, dice il Papa, “non è una teoria astratta, una teoria generalizzata, no, la fede tocca la carne e trasforma la vita di ciascuno”. Quale, allora, la concretezza della nostra fede, chiede Francesco: “è una cosa astratta o è concreta? La porto avanti nel servizio agli altri, nell’aiuto?”. Chiediamoci, “cosa posso fare concretamente? In questi giorni, mentre siamo vicini al Natale. Come posso fare la mia parte? Prendiamo un impegno concreto, anche piccolo, che si adatti alla nostra situazione di vita, e portiamolo avanti per prepararci a questo Natale.

Ad esempio: posso telefonare a quella persona sola, visitare quell’anziano o quel malato, fare qualcosa per servire un povero, un bisognoso. Ancora: forse ho un perdono da chiedere o un perdono da dare, una situazione da chiarire, un debito da saldare. Magari ho trascurato la preghiera e dopo tanto tempo è ora di accostarmi al perdono del Signore. Fratelli e sorelle, troviamo una cosa concreta e facciamola!”.

 

Fabio Zavattaro
Agensir

foto: foto Sir/ Marco Calvarese