A tavola l’inflazione picchia duro. E gli effetti si sono già visti tutti: gli italiani hanno rivisto il carrello della spesa, spesso più che dimezzando i loro acquisti. Pandemia prima, guerra dopo, salita dei costi delle materie prime e dell’energia, hanno riacceso con forza l’aumento generalizzato dei prezzi al consumo. Anche di quelli alimentari.
I dati più recenti e affidabili sono quelli Istat di agosto. Stando alle elaborazioni dei coltivatori diretti, l’aumento medio complessivo dei prezzi degli alimenti nello scorso mese è stato pari al +10,5% (rispetto all’agosto 2021). Ad essere i più colpiti, sono stati genericamente i prodotti vegetali (+12,4%) e in particolare quelli della frutta (+8,3%). La conseguenza immediata è semplice: una rilevazione Coldiretti dice che il 51% della popolazione ha tagliato la spesa, il 18% circa ha dichiarato di aver ridotto la qualità degli acquisti, mentre solo il 31% di cittadini non ha modificato le abitudini di spesa.
Detto in altri termini, è stato osservato un crollo dell’11% negli acquisti di frutta e verdura. Anche l’alimento di base per eccellenza – il pane -, è stato toccato dal fenomeno. E non solo in Italia. Secondo ad una analisi Eurostat il costo del pane non è mai stato così alto nell’Ue: in agosto mediamente è salito del 18% rispetto allo stesso mese del 2021. Il risultato, aggiunge Coldiretti, è che in Italia le famiglie spenderanno per il pane nel 2022 oltre 900 milioni di euro in più rispetto all’anno precedente.
Certo, dietro tutto questo possono esserci anche manovre speculative di vasta portata. Ancora i coltivatori, per esempio, fanno notare che proprio per i prodotti a base di cereali i prezzi al consumo “non sono mai calati negli ultimi anni nonostante la forte variabilità delle quotazioni del grano, che per lungo tempo sono state al di sotto dei costi di produzione”. E’ indubbio però che l’inflazione sia stata scatenata da una congiuntura complessa e difficile, variabile e imprevedibile come da decenni, forse, non se ne erano viste.
Una situazione che, da mesi, ha messo in crisi non solo le famiglie ma anche le imprese agricole. Sempre secondo rilevazioni dei coltivatori, il 13% delle imprese sarebbe in una situazione così critica da portare alla cessazione dell’attività ma oltre il 34% si troverebbe comunque costretta in questo momento a lavorare in una condizione di reddito negativo per effetto dei rincari. Se, infatti, l’inflazione colpisce i bilanci delle famiglie, altrettanto fa con quelli delle imprese. Secondo una indagine del Crea (il Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’economia agricola), nel settore gli aumenti dei costi vanno dal +170% dei concimi, al +90% dei mangimi, al +129% per il gasolio.
Di fronte a tutto questo i rimedi sono di vario tipo. A livello macroeconomico servono, per esempio, accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali così come politiche forti per la ricerca e la promozione. A livello microeconomico, le condotte si diversificano tra aziende e famiglie, ma di fatto con uno stesso obiettivo. Le imprese agricole devono da un lato rispolverare tutta la tradizionale tecnica agricola attenta all’uso delle materie prime, dell’acqua e dell’ambiente e, dall’altro, fare appello alle più moderne tecnologie di conduzione dei campi per tentare di abbattere i costi di produzione.
Le famiglie, devono tornare a fare i conti attentamente di fronte ai banchi dei supermercati e del mercati rionali, scegliere prodotti di stagione, calibrare bene le quantità acquistate, tornare ad alimenti conservabili, usare con attenzione gli elettrodomestici. Non si tratta di un’economia di guerra (come alcuni avevano paventato qualche mese fa nel pieno della pandemia), ma certamente di un’economia attenta e saggia. Che ci deve coinvolgere tutti.
Andrea Zaghi
Agensir