“Anche oggi, la libertà è minacciata. Come? Soprattutto con i guanti bianchi, da un consumismo che anestetizza, per cui ci si accontenta di un po’ di benessere materiale e, dimentichi del passato, si galleggia in un presente fatto a misura d’individuo”. È il monito di Papa Francesco, durante la catechesi dell’udienza di oggi, in cui ha ripercorso le tappe del suo recente viaggio in Ungheria e ha affidato a Maria "la martoriata Ucraina", esortando a pregare il rosario per la pace, in questo mese di maggio.
“Questa è la persecuzione pericolosa della mondanità”, ha aggiunto a braccio: “La porta avanti il consumismo”. “Ma quando l’unica cosa che conta è pensare a sé e fare quel che pare e piace, le radici soffocano”, il grido d’allarme del Papa: “È un problema che riguarda l’Europa intera, dove il dedicarsi agli altri, il sentirsi comunità, la bellezza di sognare insieme e di creare famiglie numerose sono in crisi, l’Europa intera è in crisi”. Di qui l’importanza di riflettere “sull’importanza di custodire le radici, perché solo andando in profondità i rami cresceranno verso l’alto e produrranno frutti”. “Chiediamoci, anche come popolo”, l’invito di Francesco: "Quali sono le radici più importanti della mia vita? Dove sono radicato? Ne faccio memoria, me ne prendo cura?”.
“Costruire ponti di pace tra popoli diversi”.
È questa, per il Papa, “la vocazione dell’Europa, chiamata, quale pontiere di pace, a includere le differenze e ad accogliere chi bussa alle sue porte”. “Bello, in questo senso, il ponte umanitario creato per tanti rifugiati dalla vicina Ucraina, che ho potuto incontrare, ammirando anche la grande rete di carità della Chiesa ungherese”, l’omaggio di Francesco. “Il Paese è poi molto impegnato nel costruire ponti per il domani”, ha sottolineato il Papa: “È grande la sua attenzione per la cura ecologica – e questa è una cosa molto bella dell’Ungheria - e per un futuro sostenibile, e si lavora per edificare ponti tra le generazioni, tra gli anziani e i giovani, sfida oggi irrinunciabile per tutti”.
Per il Papa, inoltre, “ci sono ponti che la Chiesa, come emerso nell’apposito incontro, è chiamata a tendere verso l’uomo d’oggi, perché l’annuncio di Cristo non può consistere solo nella ripetizione del passato, ma ha sempre bisogno di essere aggiornato, così da aiutare le donne e gli uomini del nostro tempo a riscoprire Gesù”. “Costruire ponti, ponti di armonia, ponti di unità”, l’invito a braccio a proposito della “bellezza di creare ponti tra credenti”, che in Ungheria “lavorano bene insieme”.
“Superare il rischio del disfattismo e la paura del domani, ricordando che Cristo è il nostro futuro”, ha esordito Francesco definendo quello ungherese “un popolo coraggioso e ricco di memoria”. “Ho visto tanta gente semplice e laboriosa custodire con fierezza il legame con le proprie radici”, ha testimoniato il Papa: “E tra queste radici ci sono anzitutto i santi: santi che hanno dato la vita per il popolo, santi che hanno testimoniato il Vangelo dell’amore, santi che sono stati luci nei momenti di buio; tanti santi del passato che oggi esortano a superare il rischio del disfattismo e la paura del domani, ricordando che Cristo è il nostro futuro”. “Le solide radici cristiane del popolo ungherese sono state però messe alla prova”, il riferimento alla storia del popolo magiaro: “La loro fede è stata provata al fuoco.
Durante la persecuzione ateista del ‘900, infatti, i cristiani sono stati colpiti violentemente, con vescovi, preti, religiosi e laici uccisi o privati della libertà. Ma mentre si tentava di tagliare l’albero della fede, le radici sono rimaste intatte: è restata salda una Chiesa nascosta, con tanto clero ordinato in segreto, che testimoniava il Vangelo lavorando nelle fabbriche, mentre le nonne evangelizzavano nel nascondimento”. “In Ungheria quest’oppressione comunista era stata preceduta da quella nazista, con la tragica deportazione di tanta popolazione ebraica”, ha ricordato Francesco: “Ma in quell’atroce genocidio tanti si distinsero per la resistenza e la capacità di proteggere le vittime, e questo fu possibile perché le radici del vivere insieme erano salde. Così i comuni legami di fede e di popolo hanno aiutato il ritorno della libertà”.
M.Michela Nicolais
Agensir